In pista c’è una raccolta di firme tra i parlamentari Ue per chiedere l’introduzione della tracciabilità di ogni principio attivo farmaceutico e disincentivare la rietichettatura e il riconfezionamento dei prodotti extracomunitari. «Serviranno tre mesi di tempo e 367 adesioni per considerare la “dichiarazione scritta” recante queste richieste come approvata dall’aula e dunque vincolante per la Commissione e il Consiglio» garantisce Amelia Sartori (Ppe), membro della commissione Sicurezza, ambiente salute pubblica e alimenti del Parlamento europeo, intervenuta nei giorni scorsi alla manifestazione internazionale Bulk@Italy promossa da Aschimfarma (associazione dei produttori di settore aderente a Federchimica).
Una promessa importantissima per il comparto, che nel 2005 ha registrato un fatturato complessivo da 3 miliardi di euro pur scontando una situazione di sofferenza:«Nel 2006 stimiamo una crescita in volume dell’1% ma non saremmo ancora in grado di competere con India e Cina» spiega il presidente Aschimfarma, Gian Mario Boccalini.
Dai Paesi asiatici infatti proviene circa l’80% dei principi attivi consumati in Europa con costi inferiori del 25-40% e senza che sia imposto l’obbligo di esibire un certificato di buona fabbricazione (Good manufacturing practice) che garantisca la qualità e la sicurezza della molecola.
Una situazione ingiustamente penalizzante, conclude Boccalini, per un comparto che rappresenta ancora un fiore all’occhiello della chimica italiana «potendo vantare un 89% della produzione destinato all’export (40% verso gli Stati Uniti, 34% in Europa,e un 17% in Giappone), con 8mila addetti, e un fatturato per addetto da 370mila euro».
S.TOD. (il sole – 24 ore 25/06/06)
Una promessa importantissima per il comparto, che nel 2005 ha registrato un fatturato complessivo da 3 miliardi di euro pur scontando una situazione di sofferenza:«Nel 2006 stimiamo una crescita in volume dell’1% ma non saremmo ancora in grado di competere con India e Cina» spiega il presidente Aschimfarma, Gian Mario Boccalini.
Dai Paesi asiatici infatti proviene circa l’80% dei principi attivi consumati in Europa con costi inferiori del 25-40% e senza che sia imposto l’obbligo di esibire un certificato di buona fabbricazione (Good manufacturing practice) che garantisca la qualità e la sicurezza della molecola.
Una situazione ingiustamente penalizzante, conclude Boccalini, per un comparto che rappresenta ancora un fiore all’occhiello della chimica italiana «potendo vantare un 89% della produzione destinato all’export (40% verso gli Stati Uniti, 34% in Europa,e un 17% in Giappone), con 8mila addetti, e un fatturato per addetto da 370mila euro».
S.TOD. (il sole – 24 ore 25/06/06)