Rendere omogenei e intercomunicanti i dati provenienti dalle sperimentazioni cliniche e quelli registrati nei database sanitari è fondamentale per valorizzare al meglio gli sforzi della ricerca e migliorare il rapporto beneficio/rischio dei trattamenti clinici.
Nell’era dei big data e della salute digitale, una delle sfide più ambiziose per medici e ricercatori è gestire al meglio l’enorme mole di informazioni disponibili: valutarle, selezionarle, integrarle, interpretarle e condividere i risultati con tutti gli attori coinvolti.
In una perspective [1] pubblicata su The New England Journal of Medicine, M. Najafzadeh e S. Schneeweiss [2] evidenziano che per tradurre correttamente nella vita reale i risultati degli studi clinici è necessario integrarli con i dati sanitari della popolazione target ricavabili dai registri elettronici.
Esistono oggi metodi statistici in grado di mettere in relazione i dati a livello individuale provenienti da studi clinici randomizzati e controllati (RCT) e le informazioni sulla distribuzione dei fattori di rischio in una popolazione target. Il loro utilizzo consente di adattare i risultati dei trial alle popolazioni di pazienti, assumendo che vi sia una sufficiente sovrapposizione tra lo studio clinico e la popolazione target per sostenere tali inferenze.
Tuttavia, come sottolineano gli Autori, i fattori di rischio negli studi clinici e nei database sanitari elettronici sono acquisiti e misurati in condizioni e con modalità sostanzialmente differenti. Uno clinical study randomizzato e controllato valuta in modo sistematico e dettagliato una grande mole di informazioni e caratteristiche di base, mentre i dati ottenuti nel corso di trattamenti di routine sono spesso acquisiti nell’urgenza di fornire ai pazienti le cure di cui hanno bisogno. Una possibile conseguenza è che i profili dei fattori di rischio di popolazioni identiche risultino erroneamente diversi (e viceversa) – un problema che può compromettere la precisione dei metodi per la riponderazione dei risultati degli RCT.
È necessario quindi allineare le misurazioni tra queste due sfere di dati, sovrapponendo le informazioni disponibili e concentrando poi l’attenzione sui pazienti di cui si conoscano sia i dati dei fattori di rischio provenienti dagli RCT, sia i dati provenienti dai registri sanitari elettronici. Con un duplice vantaggio: da una parte, il perfezionamento degli algoritmi utilizzati per la misurazione dei fattori di rischio nei database sanitari; dall’altra, la possibilità di rivalutare in modo più accurato i risultati degli studi. Inoltre, le banche dati elettroniche, se validate direttamente utilizzando i dati degli studi clinici, possono essere impiegate per seguire i partecipanti a uno studio e acquisire i risultati a lungo termine anche dopo la conclusione del trial.
Infine, sulla base dei dati sanitari elettronici, attraverso studi comparativi di efficacia e di sicurezza, possono essere verificate, in alcune circostanze, indicazioni aggiuntive rispetto a quelle incluse nell’etichetta iniziale del farmaco, una possibilità già al vaglio della Food and Drug Administration (FDA).
Per favorire queste buone pratiche, gli Autori suggeriscono che l’acquisizione delle informazioni che riguardano i partecipanti allo studio, contenute nei database sanitari elettronici, divenga parte integrante delle sperimentazioni cliniche. Un tale cambiamento consentirebbe una migliore applicazione dei risultati degli RCT alla popolazione target. Tutto ciò, senza gravare di oneri e costi aggiuntivi i ricercatori che conducono studi clinici standard, visto che le informazioni di routine raccolte nelle banche dati elettroniche sono prontamente disponibili nella maggior parte delle situazioni pratiche.
Naturalmente, chi si arruola deve fornire il consenso alla condivisione dei dati, ma l’esperienza insegna che i pazienti sono molto più disposti a farlo di quanto si possa supporre, se ciò consente di migliorare le cure per altri.
D’altra parte, valorizzare quanto possibile le conoscenze che emergono dal coinvolgimento dei pazienti nelle sperimentazioni cliniche, garantendo al contempo il massimo beneficio e il minor rischio per tutti coloro che sono affetti dalla stessa patologia, è una responsabilità etica che accomuna ricercatori e clinici, nell’interesse primario dei pazienti, chiamati dal nuovo Regolamento europeo sulla sperimentazione clinica 536/2014 (in vigore da ottobre 2018), a una crescente centralità nei processi che li riguardano.
Mario Melazzini
AIFA – 06/04/2017
[1] M. Najafzadeh e S. Schneeweiss, From Trial to Target Populations — Calibrating Real-World Data, in http://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMp1614720, 30 marzo 2017