PAVIA. Hanno incrociato le braccia per otto ore, scendendo in piazza per dire no alla chiusura del loro stabilimento. I lavoratori della Merck hanno scioperato ieri mattina. E l’adesione all’agitazione, secondo gli organizzatori, è stata altissima, arrivando a sfiorare il 90 per cento. «Vogliamo mantenere alta l’attenzione della città e delle istituzioni», dicono i lavoratori mentre il corteo formato da circa 300 persone attraversa la città e prima di salire in Prefettura, dove si è tenuto un incontro tra politici, sindacati e lavoratori.
L’appuntamento è davanti allo stabilimento di via Emilia 21 alle otto del mattino. Ogni lavoratore prende un cartello «Data di scadenza: 31 dicembre 2014 – c’è scritto sopra –. Ma in 270 ci domandiamo: e dopo cosa ne sarà di noi?». Dopo l’annunciata chiusura dello stabilimento pavese, infatti, la paura tra gli operai è tanta: intere famiglie, di cui una quindicina composte da entrambi i coniugi che lavorano per la multinazionale americana, rischiano di ritrovarsi senza un reddito fin dai prossimi mesi, se la chiusura non verrà scongiurata. «E’ la seconda volta che mi succede, ero dipendente Necchi – commenta amaro Maurizio Leo –. L’impianto pavese è un’eccellenza secondo i vertici aziendali, ma sono intenzionati a dismettere per ragioni di costi. Speriamo di trovare un compratore, è la nostra unica possibilità».
Il lungo corteo si mette in moto al grido dello slogan «Lavoro!», diretto verso il palazzo del governo. Lungo il percorso la gente si affaccia in strada e applaude i lavoratori, armati di fischietti e trombe. La preoccupazione tra i lavoratori è tanta, anche perché molti di loro hanno tra i 40 e i 50 anni, una famiglia e dei figli. Anche la rabbia è diffusa nel corteo. «Dobbiamo lavorare per mangiare – dice una dipendente –. Siamo tutti sulla stessa barca». Anche una certa delusione per le scelte della multinazionale si avverte tra i manifestanti, che però non perdono il realismo. «L’azienda cerca i profitti, è naturale – osserva Livio Gardella, di ritorno dal tavolo di trattativa a Roma –. La colpa è delle istituzioni, per anni sono state indifferenti alle richieste della propriet: adesso tocca a loro salvaguardarci».
L’annuncio della chiusura dello stabilimento pavese della Merck, l’ultimo rimasto in Italia, è stato un fulmine a ciel sereno per 270 famiglie. «Nessuno ha colto i segnali premonitori», dice ricorda Christian Minetti, due figli e un terzo in arrivo. Intanto il corteo arriva davanti alla Prefettura: qui ci sono il sindaco e il presidente della provincia, oltre ai parlamentari pavesi e ai consiglieri regionali. «Questa è una manifestazione importate – dice Gianni Ardemagni, segretario della Femca Cisl –. Non c’è infatti un motivo plausibile per chiudere lo stabilimento di Pavia, efficiente e flessibile e definito eccellente dalla stessa multinazionale americana. «L’adesione allo sciopero &eg