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Il caso monta anche nella sua Toscana, «i colleghi di molti ospedali negano un importante diritto al lavoratore e non sanno che il loro “no” può avere conseguenze legali. Ad esempio, per i dipendenti pubblici in base alla legge 133/2008, la penalizzazione sulla giornata di stipendio sussiste per chi si assenta dal lavoro e produce un certificato del medico di famiglia ma non per chi produce un certificato di malattia del pronto soccorso (e non altro documento, ad esempio ricetta bianca) attestando che una patologia lo ha tenuto in ospedale nell’orario di lavoro».
Dunque il medico ospedaliero è tenuto a certificare, anche su ricetta Ssn se il software non funziona, «pena nei casi più gravi la denuncia per omissione di atti d’ufficio. Fermo restando l’obbligo deontologico e la punibilità disciplinare. Il licenziamento è previsto dalla Brunetta law 165/2001 all’articolo 55 septies comma 4, che è “inderogabile da accordi collettivi”. Sicché lo contemplano la Inps circular 2/2010 e il contratto nazionale degli ospedalieri. Non capisco proprio le polemiche in Lombardia -dice Puccetti- poiché nelle circolari l’Inps raccomanda di redigere il certificato di ps almeno su carta. Né capisco chi, pur distinguendo correttamente tra certificazione di malattia e di guarigione, dimentica che la law Brunetta ha cambiato il diritto e ha spostato il baricentro della certificazione di malattia dal medico che oltre a quelle sulla patologia ha tutte le informazioni anamnestiche del paziente (il “curante” che può essere anche uno specialista pubblico o privato) al medico che materialmente accerta la patologia direttamente, che può ben essere quello di pronto soccorso. Ai sensi di legge spetta a quest’ultimo la certificazione».
Da quel giorno il combinato disposto degli articoli in materia gioca contro il medico ospedaliero. Se non se ne rende conto, dico una cattiveria, è perché spesso a dimettere il paziente non c’è un medico ma un infermiere caposala che non è titolato a scrivere il certificato di malattia. Se, a furia di non difendere i propri diritti di medici, si finisce nei guai, non c’è poi da recriminare con il medico di famiglia che ti rinvia il paziente non per negargli dei diritti ma per restituirglieli».
Mauro Miserendino – Giovedì, 11 Giugno 2015 – Doctor33
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