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CENSIS. Il capitolo «Il sistema di welfare» e sanità del 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2024

Servizio sanitario: anatomia di una crisi

Il 6 dicembre scorso è stato presentato il Rapporto Censis. Giunto alla 58to edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese. Le General consideration introducono il Rapporto con l’esortazione a ritrovare la via della crescita mediante la capacità di aprirsi al nuovo.

Nella seconda parte, La società italiana al 2024, vengono affrontate le questioni di maggiore interesse emerse nel corso dell’anno descrivendo la sindrome italiana, le insidie della continuità nella medietà, la guerra delle identità, la mutazione morfologica della nazione, i conti che non tornano e le equazioni irrisolte del sistema-Italia, i fenomeni ambivalenti e in chiaroscuro. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

We report the Capitolo riguardante Sanità e Welfare. 


Roma, 6 dicembre 2024 – Servizio sanitario: anatomia di una crisiDal 2013 al 2023 la spesa sanitaria privata pro-capite è cresciuta in termini reali del 23,0%, invece quella pubblica dell’11,3%. Nel periodo 2015-2022 le retribuzioni dei medici nel Servizio sanitario nazionale hanno subito un taglio in termini reali del 6,1%. Non sorprende, quindi, che l’87,2% degli italiani ritenga una priorità migliorare le retribuzioni e le condizioni di lavoro dei medici, considerati la risorsa più importante della sanità. Il 92,5% considera prioritario assumere nuovi medici e infermieri. L’83,6%, dopo la traumatica esperienza dell’emergenza Covid, che ha visto la sanità impreparata ad affrontare il picco di domanda di prestazioni sanitarie, si aspettava investimenti massicci e un più intenso impegno per potenziare il sistema sanitario.

Odissee sanitarie. Negli ultimi 24 mesi il 44,5% degli italiani ha sperimentato, direttamente o indirettamente tramite i propri familiari, il sovraffollamento nelle corsie di ospedale o in altri servizi sanitari. Ogni 100 tentativi di prenotare prestazioni nel Servizio sanitario, il 34,9% degli italiani finisce poi nella sanità a pagamento, cioè in intramoenia o nel privato puro, con il pagamento per intero in capo ai cittadini. È la lunghezza delle liste di attesa che spinge a cercare soluzioni a pagamento. Lo switch nell’intramoenia o nel privato puro riguarda tanto il 37,1% delle persone con redditi medio-alti, quanto il 32,0% di quelle con redditi bassi. Lo sforzo economico per acquistare prestazioni sanitarie coinvolge anche i livelli di reddito inferiori, dunque, ed è alto il rischio di una sanità per censo, visto che i benestanti possono ricorrere alla sanità a pagamento con maggiore facilità. Così, l’84,2% degli italiani è convinto che i benestanti possano curarsi prima e meglio dei meno abbienti. Il 36,9% degli italiani in effetti ha dovuto tagliare altre spese per finanziare le proprie spese sanitarie, quota che sale al 50,4% tra le persone con redditi bassi e scende al 22,6% tra quelle con redditi alti. Le odisse sanitarie indotte dalle difficoltà di accesso al Servizio sanitario hanno implicazioni più generali sulla psicologia collettiva. Il 63,4% degli italiani dichiara di provare sfiducia nel Servizio sanitario, perché teme di non poter contare su soluzioni appropriate, mentre solo il 27,9% ha fiducia e si sente con le spalle coperte.

Il rischio di dover vivere senza welfare. È diffusa la percezione che il livello di copertura del welfare pubblico si sia drasticamente ridotto nel tempo: un cambiamento epocale rispetto alle generazioni precedenti. Attualmente il giudizio prevalente è che il sistema di tutele pubbliche si limiti alle prestazioni essenziali, mentre per il resto si paga direttamente di tasca propria: lo pensa il 50,4% degli italiani. Il 49,4% è convinto che occorra ricorrere a strumenti di autotutela, come polizze assicurative e fondi integrativi. E il 61,9% pensa che sia più importante usare i risparmi per proteggersi dai rischi sociali come sanità, vecchiaia e inabilità, piuttosto che per ottenere alti rendimenti da investimenti finanziari. Da strumento di copertura dai grandi rischi sociali e fonte di sollievo per le famiglie, il welfare pubblico si tramuta in un costo che grava sui budget familiari. Per il 65,9% degli italiani le spese di welfare pesano molto o abbastanza sul bilancio della propria famiglia.

Infinite forme di povertà. L’Italia presenta una percentuale di persone a rischio di povertà prima dei trasferimenti sociali pari al 27,2% e al 18,9% dopo di essi, mentre i dati della media Ue sono pari rispettivamente al 24,8% e al 16,2%. Secondo un’indagine del Censis il 9,8% degli italiani maggiorenni vive in famiglie in cui il reddito non è sufficiente a coprire le spese mensili. Inoltre, l’8,4% degli italiani si trova in una condizione di povertà alimentare, il 9,5% in povertà energetica e 2,7 milioni di maggiorenni in condizione di povertà oculistica. Sono alcuni esempi di forme specifiche di povertà che spiegano la crescente complessità dei fenomeni di disagio sociale, non solo di natura economica. Il 7,0% degli italiani riceve regolarmente soldi da membri della rete familiare (genitori, nonni e altri parenti) e un ulteriore 30,6% ne riceve saltuariamente.

Libertà di scelta anche per i pensionati. Il 65,2% degli italiani ritiene che si debba riconoscere la libertà individuale di andare in pensione prima dell’età prefissata, sia pure subendo piccole penalità. Il 59,6% crede che sarebbe opportuno consentire ai pensionati di lavorare se vogliono farlo (il dato sale al 77,6% tra gli anziani). In più, l’84,7% degli italiani ritiene che nelle aziende occorra introdurre meccanismi per trasferire competenze dagli anziani ai giovani. Resta sullo sfondo il tema non aggirabile della futura sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. L’81,5% degli italiani pensa che, con pochi giovani e tanti anziani, la previdenza inevitabilmente andrà incontro a grandi difficoltà. L’81,2% dei giovani è convinto che per garantirsi una vecchiaia serena sono fondamentali i risparmi e il 60,6% giudica essenziale lo sviluppo della previdenza complementare.

Specialisti e tecnici della salute sono ormai la primula rossa del mercato del lavoro, anche nel comparto della sanità privata. Il ridotto numero di candidati riguarda ben il 70,7% della domanda di lavoro per infermieri e ostetrici, il 66,8% per i farmacisti e il 64,0% delle posizioni aperte per il personale medico. Inoltre, mancano all’appello candidati per il 34,6% delle professioni sanitarie riabilitative e per il 43,6% delle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali, tra cui massaggiatori e operatori socio-sanitari.

La minore efficacia del welfare pubblico, che incide negativamente sul benessere e sulla qualità della vita delle famiglie, e in definitiva sulla coesione sociale, è testimoniata da una fenomenologia inequivocabile. Negli ultimi dieci anni, tra il 2013 e il 2023, si è registrato un balzo del 23,0% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Inoltre, al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di dover rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era considerato troppo alto. Al 53,8% è capitato, in presenza di problemi di salute, di dover fare ricorso ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie. E il 78,5% dichiara che, in caso di problemi di salute, teme di non poter contare sulla sanità pubblica


Riportiamo anche un altro aspetto del Rapporto Censis, oltremodo preoccupante.

Il CENSIS e la fabbrica degli ignoranti

L’ignoranza è una minaccia anche per la democrazia, se per i cittadini diventa difficile decodificare le proposte politiche, riconoscendo quelle fondate su presupposti falsi o con fini manipolatori.

Nel limbo dell’ignoranza (del resto, per il 5,8% degli italiani il “culturista” è una “persona di cultura”) possono attecchire convinzioni irrazionali, pregiudizi antiscientifici, stereotipi culturali

  • per più di un quarto degli italiani (il 26,1%) gli immigrati clandestini presenti oggi in Italia sarebbero 10 milioni;
  • –  il 20,9% è convinto che tramite la finanza gli ebrei dominano il mondo;
  • –  il 15,3% crede che l’omosessualità sia una patologia con origini genetiche;
  • –  il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia;
  • –  per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una base genetica (si nasce criminali, insomma);
  • –  e per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa.

Benché in Italia gli analfabeti propriamente detti siano ormai una esigua minoranza (solo 260.000), mentre i laureati sono aumentati fino a 8,4 milioni, ovvero il 18,4% della popolazione con almeno 25 anni (erano il 13,3% nel 2011), la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili.

Non raggiungono i traguardi di apprendimento: in italiano, il 24,5% degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media, il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (negli istituti professionali quest’ultimo dato sale vertiginosamente all’80,0%); in matematica, il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie inferiori e il 47,5% alle superiori (anche in questo caso il picco si registra negli istituti professionali con l’81,0%).

Si palesano profondi buchi di conoscenza in tutte le fasce di età anche in relazione a nozioni che si sarebbe tentati di dare per scontate:

  • –  con riferimento ai grandi personaggi e eventi della storia patria, il 55,2% degli italiani risponde in modo errato o non sa che Mussolini è stato destituito e arrestato nel 1943, il 30,3% (in questo caso il dato sale al 55,1% tra i giovani) non sa dire correttamente chi era Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), il 30,3% non conosce l’anno dell’Unità d’Italia, il 28,8% ignora quando è entrata in vigore la Costituzione;
  • –  con riferimento ai grandi personaggi e eventi della storia mondiale, il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno in cui è scoppiata la Rivoluzione francese, il 42,1% non conosce l’anno in cui l’uomo è sbarcato sulla Luna, il 25,1% ignora l’anno della caduta del muro di Berlino, il 22,9% non sa che Richard Nixon è stato un Presidente degli Stati Uniti (e non un grande calciatore inglese, come crede il 2,6%), il 15,3% non conosce Mao Zedong (o magari lo scambia per l’uomo più anziano del mondo, come fa l’1,9%) e, infine, il 13,1% non sa che cosa è stata la guerra fredda;
  • –  con riferimento ai grandi scrittori e poeti italiani, il 41,1% degli italiani crede erroneamente che Gabriele D’Annunzio sia l’autore de L’infinito oppure non sa dare una risposta in merito, per il 35,1% Eugenio Montale potrebbe essere stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni ’50, il 18,4% non può escludere con certezza che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi e, infine, il 6,1% crede che il sommo poeta Dante Alighieri non sia l’autore delle cantiche della Divina Commedia;
  • –  con riferimento ai capolavori dell’arte italiana, il 35,9% degli italiani cade nell’abbaglio di considerare Giuseppe Verdi l’autore dell’Inno di Mameli o comunque non ha una idea in proposito, invece per il 32,4% la Cappella Sistina potrebbe essere stata affrescata da Giotto o da Leonardo da Vinci, non da Michelangelo.

Si riscontra poi una preoccupante incapacità di collocare correttamente sulla carta geografica le città straniere, se il 23,8% degli italiani non sa che Oslo è la capitale della Norvegia, ma anche le città italiane, se il 29,5% non sa che Potenza è il capoluogo della Basilicata. Le difficoltà di calcolo lasciano perplessi, se per il 12,9% degli italiani la moltiplicazione di 7 per 8 non fa necessariamente 56. E l’ignoranza regna sovrana anche in merito ai meccanismi istituzionali, visto che più di un italiano su due (il 53,4%) non attribuisce correttamente il potere esecutivo al Governo, bensì al Parlamento o alla magistratura (tab. 8).

Sono dati che per molti italiani pongono il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire. E che lasciano prevedere una condizione di ignoranza diffusa anche nel prossimo futuro, quando le attuali giovani generazioni entreranno nella vita adulta e dovranno occupare posizioni di responsabilità.

CENSIS – La società italiana al 2024

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Redazione Fedaiisf

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