La recente vicenda del braccialetto di controllo per i lavoratori di Amazon, ha posto all’attenzione del pubblico il problema del controllo dei lavoratori con mezzi elettronici.
Noi, come Informatori scientifici, avevamo sollevato il problema ancora prima che venisse emanato il “jobs act”, quando se ne ipotizzavano le norme. Abbiamo in varie occasioni condannato la modifica dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori che avrebbe permesso il controllo a distanza.
Nel Decreto Legislativo del 14 settembre 2015, n.151, recante “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità“, all’article 23, a modifica dell’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n.300, si legge:
“Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali“.
Segue il passaggio, secondo comma, al centro della querelle, in cui si precisa che tale disposizione
“non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze“. Il testo continua disponendo che “the information raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196“.
Il secondo comma quindi concede libertà di adozione degli strumenti da parte del datore di lavoro se utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa. Il comma non contiene alcun riferimento alla necessità dello strumento per rendere la prestazione lavorativa: da qui si può aprire un mondo interpretativo non indifferente.
È la parte datoriale che decide come il lavoro deve essere espletato, gestito, organizzato. Ed è sempre il datore di lavoro che individua le modalità con le quali il lavoratore deve rendere la prestazione lavorativa: da questo deriva una apparente libertà di inserire strumenti quali GPS, biometria e tutti gli strumenti di natura tecnologica dai quali possa derivare un controllo a distanza, atti a rendere la prestazione lavorativa (magari non indispensabili, ma funzionali alla “normalizzazione”, semplificando od ottimizzando aspetti di organizzazione e produzione). Non solo, ma con i mezzi elettronici, smartphone e tablet, si può anche controllare cosa viene detto nell’ambiente circostante lo strumento, gentilmente concesso dall’azienda.
Le conseguenze per gli ISF possono essere devastanti, l’implicito controllo illegale del marketing totale, l’autonomia della gestione del lavoro dell’ISF, garantita dal contratto, un inutile orpello.
Le aziende, grazie alla controriforma Poletti con la modifica all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, possono quindi spiare legalmente e tranquillamente con gli smartphone, i tablets o i computer i propri dipendenti senza il consenso di alcuno. E con i dati così raccolti possono licenziare. Almeno a Google, Facebook, ecc. abbiamo più o meno coscientemente dato un consenso, alle aziende spione non serve neanche quello!
Sul caso Amazon, alle accuse che rimandano alla riforma del lavoro risponde il Ministro Poletti, che bolla come falsi i riferimenti al Jobs Act: “La norma non ha liberalizzato i controlli“, si legge in una nota, “ma ha fatto chiarezza circa il concetto di ‘strumenti di controllo a distanza’ ed i limiti di utilizzabilità dei dati raccolti attraverso questi dispositivi, in linea con le indicazioni che il Garante della Privacy ha fornito negli ultimi anni“.
Ora, il perito agrario Poletti o non conosce la legge che ha fatto o mente spudoratamente, tertium non datur.
Redazione – 02/02/2018
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Un braccialetto elettronico ai polsi dei dipendenti
Ottimizzare il lavoro nei magazzini in cui si evadono gli ordini online conbraccialetti “intelligenti” per i dipendenti in grado di monitorarne le attività. È l’idea brevettata da Amazon per velocizzare le operazioni di consegna. Lo riporta il sito GeekWire. Il sistema pensato dal colosso di Seattle si basa su braccialetti connessi all’inventario e agli ordini, in grado di controllare con precisione se le mani dei dipendenti si stanno muovendo nel posto giusto. Insomma, sapranno se lo staff sta compiendo i passaggi corretti e più veloci per evadere un ordine.
Uno strumento pensato per rendere il lavoro più efficiente, ma anche una forma di controllo che metterebbe a rischio la privacy del lavoratore. Per ora non ci sono indicazioni ufficiali di Amazon sull’effettiva realizzazione dei brevetti, ma il potenziale mezzo di sorveglianza potrebbe far discutere. In Italia i dipendenti di Amazon hanno protestato contro le condizioni di lavoro con uno sciopero in occasione del Black Friday.
I braccialetti, sempre secondo GeekWire, sarebbero anche in grado diinviare ai polsi dei dipendenti delle vibrazioni per indicare eventuali errori. Per gli autori del brevetto, riporta il sito, i dispositivi aggirano il bisogno di sistemi di monitoraggio più complessi e costosi di tipo “visivi” basati sull’intelligenza artificiale come quello alla base di Amazon Go, il negozio senza casse appena aperto a Seattle.
“In Italia c’è una legge e le cose che si possono fare sono quelle ammesse dalla legge”, commenta il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. “Sul tema dei controlli – ha proseguito – la legge prevede che per avere determinate autorizzazioni ci debba essere un accordo con i sindacati e le autorità competenti. Non valuto nel merito nulla, ma in Italia la legge si applica e si rispetta. Vale per Amazon come per tutti gli altri”.
“Penso che la notizia si commenti da sola”. Così il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha risposto ai giornalisti: “Avrebbe pure le catene e le palle di piombo?”, ha chiosato ironicamente la dirigente sindacale a margine di un convegno al Cnel.
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