La carenza di farmaci è il sintomo che qualcosa non va nell’industria farmaceutica
ohga1 – 10 gennaio 2023 di Maria Teresa Gasbarrone in collaborazione con Dott. Roberto Tobia Segretario nazionale di Federfarma
Perché mancano alcuni farmaci
Secondo l’ultimo bollettino dell’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa) la carenza riguarderebbe 3mila medicine, per 554 di queste il motivo sarebbe legato alla loro produzione o distribuzione. Nell’elenco ci sono tutti i farmaci utilizzati nella terapia anticovid e in quella contro i sintomi influenzali, ma il problema interessa anche i medicinali salvavita, come gli antipiretici, gli antipertensivi e gli antitumorali.
I principi attivi sono alla base dell’industria farmaceutica
“La carenza di questi farmaci – spiega il segretario nazionale di Federfarma Roberto Tobia – è la conseguenza di tanti fattori concomitanti che insieme hanno prodotto la situazione attuale”. Da un punto di vista sanitario, la coincidenza di una stagione influenzale piuttosto intensa con il fatto che il Covid19 circoli ancora ha fatto da scintilla a una serie di condizioni preesistenti
È arrivato il momento di spiegarti l’esempio della torta. Come saprai l’ingrediente alla base di ogni farmaco è il suo principio attivo, cioè la sostanza chimica che rende il medicinale curativo contro una certa malattia. Il punto è che i principi attivi utilizzati nella produzione della maggior parte dei farmaci venduti in Italia e in Europa non sono prodotti dall’interno, ma arrivano per lo più dalla Cina e in parte dall’India. Ora in condizioni di normalità forse tutto avrebbe continuato a procedere come sempre, invece lo scoppio della pandemia ha messo in crisi questo meccanismo, anche se questa non è l’unica causa del problema.
Da dove arrivano le tue medicine
“Anche per questa nostra dipendenza da altri Paesi, tutto quello che è successo negli ultimi tempi nel mondo non ha semplificato le cose – prosegue Tobia – il lockdown in Cina ha costretto le industrie farmaceutiche alla chiusura e questo ha allungato i tempi di produzione dei principi attivi, alcuni dei quali sono utilizzati, oltre che in Italia, in tutto il mondo”. Per l’industria farmaceutica europea la pandemia ha rappresentato quell’imprevisto che ha bloccato l’intera produzione (ricordi l’esempio del venditore di vaniglia per la nostra torta).
Cina India sono la dispensa farmaceutica del mondo (Fedaiisf)
Già nel 2019, pochi mesi dell’inizio dell’emergenza sanitaria mondiale, la Fedaisf – la Federazione delle Associazioni Italiane degli Informatori Scientifici del Farmaco e del Parafarmaco – segnalava come la Cina e l’India rappresentassero “la dispensa farmaceutica nel mondo a causa dei loro bassi costi e dell’alta capacità produttiva. Circa l’80% dei principi attivi utilizzati in Europa e dei farmaci negli Stati Uniti sono prodotti in questi Paesi”.
Prima della pandemia
Alla base di questo fenomeno ci sono ragioni in primis economiche, dovute al fatto che i costi di produzione in questi Paesi sono inferiori che in Europa: “Negli ultimi anni molte aziende italiane ed europee hanno scelto di delocalizzare la loro produzione per avere costi di manodopera inferiori”, spiega Tobia.
Il legame con la guerra in Ucraina
“La dipendenza da Cina e India costituisce uno dei fattori, ma non è l’unico”. Il segretario di Federfarma si riferisce ad altre dinamiche che per una congettura di fatti hanno mostrato la loro faccia oscura – o almeno problematica – in questo periodo storico. Una di queste è la dipendenza dell’industria farmaceutica per le materie prime utilizzate nel packaging, ovvero nelle confezioni e nei contenitori utilizzati per i farmaci, come plastica, carta e vetro.
“La maggior parte di queste – spiega Tobia – normalmente arriva dai Paesi dell’Est. Ora, anche a causa della guerra in Ucraina, alcuni dei materiali più utilizzati scarseggiano. Ad esempio, manca l’alluminio, utilizzato per realizzare i blister delle pillole, la carta per le confezione, o la silice, la componente alla base del vetro”. Senza di questo materiale, spiega ancora il segretario di Federfarma, è impossibile realizzare le fiale o i flaconi di vetro impiegati soprattutto per gli sciroppi. Non a caso i medicinali per età pediatrica sono tra i farmaci che più mancano oggi.
Ed
È da molto tempo che richiamiamo l’attenzione sul massiccio utilizzo di farmaci e principi attivi provenienti dall’India e dalla Cina.
La globalizzazione produttiva, anche dei farmaci, risponde semplicemente al termine di delocalizzazione. In altre parole, molte grandi imprese occidentali, rispondendo a una necessità di risparmio, ottimizzazione e massimizzazione dei profitti, hanno iniziato a trasferire le produzioni in paesi del Terzo Mondo, spesso accompagnando questi trasferimenti con strategie di riduzione del personale.
Infatti il basso costo del lavoro e i bassi oneri fiscali hanno fatto sì che le grandi aziende decidano di spostarsi all’estero dove la pressione fiscale e la mano d’opera è inferiore piuttosto che investire nel proprio paese dando origine alle delocalizzazione, quindi ad una diaspora di persone e delle loro qualità che vanno, sì, ad arricchire il paese in cui andranno, ma lasceranno il proprio sempre più povero. Questo implica anche la richiesta, da parte dei datori di lavoro, di una maggiore flessibilità agli spostamenti da parte dei dipendenti rendendoli sempre più precari, trattandoli più come merci che come persone.
Scriveva Luca Pani, in un editoriale AIFA, di cui era Direttore Generale, come Cina, India, Singapore e Israele sono già emersi come principali produttori e mercati di prodotti farmaceutici ed è probabile che diventino nel prossimo futuro esportatori di prodotti medicinali ad alto valore aggiunto destinati all’Europa e agli Stati Uniti. Può essere indicativa la forza dell’Asia come fornitore di principi farmaceutici attivi (API). Mentre nel 1980 oltre l’80% di API destinati al mercato europeo era di origine europea, la percentuale era scesa al 20% nel 2008. La maggiore dipendenza da fonti non europee ha già suscitato preoccupazioni per la sicurezza e la qualità degli approvvigionamenti in Europa. Dobbiamo mettere i nostri produttori nelle condizioni di competere con questi concorrenti senza mai abdicare al nostro ruolo di tutela della salute e dei controlli della qualità che abbiamo operato, con grande successo, sino ad ora.
Il punto dolente, che abbiamo sempre sottolineato, è proprio il controllo di qualità molte volte carente nei Paesi asiatici. La qualità dei principi attivi, dicevamo, non può essere garantita da autocertificazioni o da enti certificanti del paese dove ha sede il produttore, né da controlli ex post o a campione. Indicavamo come esempio l’Orange Book americano, anche sulla certezza della equivalenza terapeutica.
La pandemia ha fatto emergere il problema, se non sul piano della sicurezza, della dipendenza così massiccia dagli asiatici, dipendenza dettata solo dal profitto degli importatori che si coniuga col risparmio a tutti i costi dei sistemi sanitari occidentali che puntano solo sui prezzi bassi senza aver tentato di incentivare una diversificazione di qualità. L’aumento poi del packaging e dei carburanti per i trasporti ha fatto il resto.
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