La quota di vendite destinate all’esportazione ha dato, nel 2011, un contributo tale all’industria farmaceutica italiana da permettere alla produzione di mantenere un segno positivo, anche se di poco, appena lo 0,5%, in più sull’anno precedente. Con una crescita sui mercati esteri dell’8-8,5%, l’export rappresenta ormai il 60% del valore totale, mentre la produzione ha avuto una battuta d’arresto del 3,5-4%. I dati elaborati da Farmindustria, pubblicati dal Sole24Ore, fotografano una realtà che deve confrontarsi «con un mercato pubblico che stringe i cordoni e con i generici che stanno sconvolgendo il settore in tutto il mondo» e con i blockbuster che perdono i brevetti. L’export, secondo Farmindustria, su cui si fonda la crescita ormai da 10 anni, presenta «crescenti rischi di sostenibilità» ed è destinato a rallentare, soprattutto con paesi come Brasile, Russia, India e Cina che stanno rivoluzionando i mercati e il modo di produrre. «Un’ulteriore compressione del mercato interno – è la stima di Farmindustria – determinerebbe una riduzione dell’attività in Italia, incidendo negativamente sul peggioramento del quadro di riferimento per la situazione occupazionale del settore, già difficile e segnata da un numero significativo di esuberi». Le ricadute sull’occupazione si registrano già con un calo del 2,5-3%, in tutto 10mila posti persi dal 2007.
26 gennaio 2012 – Farmacista33
ASSOBIOTEC, SIAMO A RISCHIO
"Se il decreto" sulle liberalizzazioni "mette a rischio l’intero valore del marchio di prodotto, a livello regionale assistiamo a sempre più frequenti attacchi al brevetto stesso, essenza e anima della ricerca e sviluppo, in uno scenario in cui da un lato si limita sempre di più l’accesso all’innovazione e dall’altro si pagano le aziende del farmaco con oltre 300 giorni di ritardo medi".
Così Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec "vuole aggiungere la propria voce a quella degli altri attori della filiera della salute per denunciare una situazione che diventa di giorno in giorno più insostenibile per chi investe in innovazione. Il quadro complessivo che ne risulta mette seriamente a rischio non solo gli insediamenti produttivi e le organizzazioni commerciali, ma anche gli investimenti in ricerca nel nostro Paese. Paese che avrebbe al contrario bisogno di rilanciare il settore delle scienze per la vita, uno dei pochi hi-tech in cui l’Italia può ancora competere con le principali economie mondiali grazie alle proprie eccellenze.