Rischio fuga per le aziende biomedicali. Fornire le Asl e gli ospedali di beni e dispositivi medici potrebbe non essere più un buon affare. "Se quanto stabilito dal decreto sulla spending review venisse applicato alla lettera, alcuni contratti ‘rinegoziati’ potrebbero spingere la metà delle imprese presenti sul mercato a non accettare determinate condizioni di prezzo, ritenute insostenibili". E’ quanto afferma a Pharmakronos Stefano Rimondi, presidente di Assobiomedica, che ha organizzato per il 24 luglio a Roma una conferenza sulle conseguenze del decreto spending review su cittadini, medici e aziende.
A Rimondi non convince troppo la politica del prezzo di riferimento ‘rigido’. "Alcuni dispositivi medici – spiega – sono accompagnati da una serie di servizi che variano da appalto ad appalto. Il prezzo di riferimento a cui si rifà il decreto potrebbe andar bene per alcuni prodotti, ma certamente non per altri. Ad esempio la fornitura di defibrillatori impiantabili prevede anche un servizio di training. Lo stesso vale per alcune attrezzature ortopediche, dove alcuni servizi correlati sono estremamente importanti.
Parlare quindi di prezzo di riferimento secco del prodotto mi sembra aleatorio". Per il numero uno di Assobiomedica, se la ‘rinegoziazione’ dei contratti porterà ad una contrazione del prezzo troppo elevata e fuori mercato per il servizio offerto, "il 50% delle imprese potrebbe accettare la rescissione del contratto e stoppare la fornitura dei prodotti. Soprattutto in quelle regioni dove i pagamenti vengono fatti dopo 800-1000 giorni dalla consegna. Anche perché – conclude Rimondi – se è l’Asl a decidere di rescindere il contratto le imprese non rischiano l’accusa di interruzione di pubblico servizio".
18 luglio 2012 – Federico Finocchi – PharmaKronos