La possibilità di andare in pensione grazie al contratto di espansione, uno scivolo di cinque anni per i lavoratori di aziende con almeno 1.000 dipendenti, è una delle novità contenute nel cosiddetto decreto Crescita.
Carla Panizza – Manager Italia – 8 luglio 2019
Andare in pensione grazie al contratto di espansione, uno scivolo di cinque anni per i lavoratori di aziende con almeno 1.000 dipendenti, è una delle novità contenute nel cosiddetto decreto Crescita, convertito dalla legge 28 giugno 2019 n. 58 (pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 26 della Gazzetta Ufficiale n. 151 del 29 giugno 2019).
La legge è entrata in vigore il 30 giugno 2019.
La misura viene introdotta in via sperimentale soltanto per gli anni 2019 e 2020 e potrà essere attivata in via esclusiva solo dall’azienda, in quanto unica finanziatrice dello scivolo che permetterà ai lavoratori in possesso dei requisiti descritti di beneficiare di un’ indennità pari all’assegno previdenziale lordo maturato al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Questo nuovo contratto di espansione riguarda le grandi imprese con un organico superiore a 1.000 unità e che intendono avviare processi di rinnovamento tecnologico, reindustrializzazione e riorganizzazione. Il vantaggio per le aziende che decideranno di ricorrere al contratto di espansione è quello di agevolare il turn over generazionale, soprattutto se l’azienda si trova in una fase di trasformazione con il passaggio a nuove tecnologie che richiedono l’ingresso in azienda di professionalità adeguatamente formate.
L’obiettivo è incentivare il turnover all’interno delle grandi aziende, che potranno così offrire ai lavoratori più anziani, uno “scivolo” di 5 anni (modificando i contratti di solidarietà espansiva di cui all’articolo 41 del D.Lgs., n.148/2015). Il nuovo testo prevede anche un vincolo al futuro legislatore, disponendo che i requisiti per la pensione in vigore al momento di sottoscrizione dell’accordo per l’uscita non potranno essere cambiati successivamente da altre norme.
Ricordiamo che il contratto di espansione non si applica ai dirigenti, in quanto è un’evoluzione del contratto di solidarietà espansiva, dalla cui applicazione ne sono esclusi.
Possono essere licenziati e accompagnati al trattamento previdenziale quei lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi (5 anni) dal maturare il diritto alla pensione di vecchiaia (e abbiano già maturato il requisito minimo contributivo di 20 anni di contributi) o a quella anticipata (esclusa quota 100). L’indennità, come detto, sarà commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato al momento della cessazione del rapporto di lavoro e, eventualmente, inclusiva della Naspi. Se l’accesso è alla pensione anticipata, vanno versati anche i contributi, escluso il periodo coperto da contribuzione figurativa per Naspi.
Lo scivolo viene pagato dall’azienda e potrà essere concesso anche ricorrendo ai fondi di solidarietà bilaterali, se già costituiti o in corso di costituzione, senza dover modificare i rispettivi statuti.
Mediante il contratto di espansione è possibile, tra l’altro, programmare nel tempo un piano di assunzioni nel quale è indicato il numero e il profilo professionale dei lavoratori da assumere e il numero dei lavoratori che possono accedere, a certe condizioni, ad un’indennità precedente il trattamento pensionistico.
Il contratto di espansione deve contenere: a) il numero e il profilo professionale dei lavoratori da assumere; b) la programmazione temporale delle assunzioni; c) l’indicazione della durata a tempo indeterminato dei contratti di lavoro si intendono inclusi i contratti di apprendistato professionalizzanti; d) con riguardo alle professionalità in organico, la riduzione complessiva media dell’orario di lavoro e il numero dei lavoratori interessati e il numero dei lavoratori che possono accedere al regime pensionistico agevolato.
Ai fini della stipula del contratto di espansione il Ministero del Lavoro verifica il progetto di formazione e di riqualificazione che l’impresa è tenuta a presentare, nonché il numero delle assunzioni. Il progetto di formazione e di riqualificazione infatti è parte integrante del contratto di espansione e descrive i contenuti formativi e le modalità attuative, il numero complessivo dei lavoratori interessati, il numero delle ore di formazione, le competenze tecniche professionali iniziali e finali distinto per categorie, nonché garantisce che nel programma devono essere indicate le previsioni di recupero occupazionale dei lavoratori interessati alle sospensioni o riduzioni di orario, nella misura minima del 70%. Per recupero occupazionale deve intendersi, oltre al rientro in azienda dei lavoratori sospesi, anche il riassorbimento degli stessi all’interno di altre unità produttive, nonché iniziative volte alla gestione non traumatica dei lavoratori medesimi.
Per gli addetti che mantengono il posto di lavoro si può fare ricorso alla Cigs fino a 18 mesi con una riduzione media oraria del 30%, anche in deroga ai limiti previsti dalla norma.
Le imprese interessate ad attivare questi processi per l’innovazione sono tenute ad avviare una procedura di consultazione sindacale, analoga a quella prevista per l’accesso alla cassa integrazione straordinaria, che coinvolge necessariamente ministero del Lavoro e le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’esito finale di tale procedura è la stipula in sede governativa del contratto di espansione con l’accesso alle relative misure agevolative.
Le novità introdotte dal decreto Crescita per le grandi imprese in fase di trasformazione tecnologica non si fermano alle pensioni in quanto è prevista anche la possibilità, per i lavoratori che non hanno maturato i requisiti per l’accesso allo scivolo, di ridurre l’orario di lavoro per favorire l’ingresso in azienda di nuovi lavoratori. In questo caso, la corrispondente riduzione di stipendio sarà compensata con una integrazione salariale a carico dell’Inps.
Va ricordato che un analogo meccanismo di pensionamento anticipato (cd. isopensione) è disciplinato dalla L. 92/2012, secondo cui, nei casi di eccedenza di personale, accordi tra datori di lavoro che impieghino mediamente più di 15 dipendenti e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative possono prevedere che il lavoratore riceva, a condizione che raggiunga i requisiti minimi per il pensionamento (di vecchiaia o anticipato) nei 4 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro (limite elevato a 7 per il triennio 2018-2020 dalla legge di bilancio 2018), una prestazione (a carico del datore di lavoro) di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti.
Secondo quanto riportato dalla relazione tecnica che accompagna il provvedimento, le aziende potenzialmente interessate ad applicare la norma, cioè che contano almeno mille dipendenti, sono 381, con una platea di ipotetici beneficiari, sia per quanto riguarda il maxi scivolo che la riduzione di orario, stimata in un totale di 1,1 milioni di lavoratori.
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