“Se non si può misurare qualcosa, non si può migliorarla”. Con questa citazione, attribuita a Lord Kelvin, si apre l’editoriale che accompagna un importante studio, recentemente pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA), in tema di antibiotico-resistenza. Nel contrasto a questo fenomeno, concreta minaccia globale causata principalmente dall’utilizzo eccessivo di antibiotici, uno dei maggiori ostacoli, che rischia di ridimensionare l’efficacia delle strategie attuate dai decisori pubblici e dalle autorità sanitarie, è infatti legato alla difficoltà di determinare qual è l’entità delle prescrizioni inappropriate. Rispondere a questo interrogativo, relativamente al consumo di antibiotici per uso orale negli Stati Uniti, è l’obiettivo che si sono posti gli autori dello studio “Prevalence of Inappropriate Antibiotic Prescriptions Among US Ambulatory Care Visits, 2010-2011”, Katherine Fleming-Dutra e altri. Utilizzando i dati del National Ambulatory Medical Care Survey (NAMCS) e del National Hospital Ambulatory Medical Care Survey (NHAMCS), i ricercatori coinvolti hanno analizzato, relativamente agli anni 2010 e 2011, un campione di 184032 visite in ambiente ambulatoriale, dove si registrano complessivamente, secondo le stime, 154milioni di prescrizioni annue.
I risultati prodotti dallo studio testimoniano come negli Stati Uniti, dove secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) le infezioni da resistenza agli antibiotici colpiscono annualmente due milioni di persone, causando ventitremila decessi, nel biennio considerato il 30% annuo delle prescrizioni ambulatoriali di antibiotici per via orale potrebbe essere stato inappropriato (solo 353 delle 506 prescrizioni ogni 1000 abitanti è appropriata).
Per risalire al volume delle prescrizioni inappropriate, i ricercatori hanno disaggregato i dati analizzati in base all’area geografica dell’ambulatorio, all’età dei pazienti (0-19 anni; 20-64 anni; > 65 anni), alla patologia diagnosticata e alla terapia prescritta. La prescrizione di un antibiotico, secondo i ricercatori, ricorre nel 12,6 % dei casi, con un tasso complessivo stimato di 506 prescrizioni ogni 1000 abitanti, con una prevalenza maggiore negli Stati del sud (553 ogni 1000 abitanti) rispetto agli altri (423 ogni 1000 abitanti). Le prescrizioni campionate sono poi state rapportate alla percentuale di quelle considerate appropriate per ciascuna delle tre diverse categorie diagnostiche individuate rifacendosi, ove presenti, alle linee guida che definiscono le patologie per le quali il ricorso agli antibiotici è quasi sempre indicato (ad es. polmonite e infezioni del tratto urinario), può essere indicato (ad es. sinusite, otite media suppurativa media, infezioni cutanee e delle mucose, faringite) o non è indicato (ad es. bronchite acuta). Laddove mancante, questo dato è stato sostituito assumendo come parametro di riferimento il livello più basso che si è registrato nelle prescrizioni a carattere territoriale.
Una quota notevole dell’eccesso prescrittivo deriva dalla tendenza dei medici a sovradiagnosticare alcune patologie, come ad esempio la faringite, per la quale i protocolli sanitari limitano il ricorso alla terapia antibiotica esclusivamente a quella da streptococco. I ricercatori hanno evidenziato che, sebbene la più recente letteratura scientifica ritenga che la percentuale dei bambini sottoposti a visita medica per mal di gola positivi a questo batterio si attesti al 37%, nel campione analizzato il volume delle prescrizioni antibiotiche raggiunge il 56,2%. Un’analoga discrepanza, ancora più ampia, si registra nella popolazione adulta compresa tra 20 e 64 anni: nel campione analizzato, il 72,4% degli adulti con faringite è stato trattato con terapia antibiotica, mentre generalmente solo il 18% di quelli visitati per mal di gola soddisfa i criteri epidemiologici per un risultato positivo allo streptococco.
Questo dimostra come l’efficacia delle strategie contro l’antibiotico-resistenza richieda non solo un’intensa attività di sensibilizzazione rivolta alla popolazione, ma anche l’impegno dei medici perché si diffonda e consolidi nel personale sanitario una gestione responsabile delle prescrizioni antibiotiche.
Concludendo lo studio, gli autori non mancano di sottolineare le ragioni per cui i risultati delle loro stime vanno considerati con prudenza. Dal campione analizzato, infatti, restano escluse, ad esempio, le terapie antibiotiche prescritte negli studi dentistici, secondo un’altra indagine il 10% di quelle annuali negli Stati Uniti. A livello globale, pertanto, la percentuale del 30% potrebbe rivelarsi addirittura sottostimata se identificata con il volume reale delle prescrizioni inappropriate.
Lo studio rappresenta comunque un rilevante progresso verso la definitiva implementazione dei principi dell’antimicrobial stewardship e il successo, negli Stati Uniti, del National Action Plan for Combating Antibiotic-Resistant Bacteria, il piano d’azione promosso dall’amministrazione Obama che si pone l’obiettivo di fronteggiare la minaccia costituita dallo sviluppo di batteri resistenti agli antibiotici riducendo del 50%, entro il 2020, le prescrizioni ambulatoriali inappropriate. La metodologia proposta potrà essere inoltre riprodotta per estendere l’indagine ad altri contesti nazionali, e rappresentare così un prezioso strumento per pianificare strategie più efficaci contro la diffusione dei superbatteri.
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