On Bergamo News del 3 agosto è stata pubblicata un’intervista al Prof. Garattini (classe 1928) a cui è stato chiesto di fare delle considerazioni sull’aumento dell’uso degli antidepressivi in Italia così come si ricava dalla recente pubblicazione da parte di AIFA del Rapporto sul consumo dei farmaci in Italia (OsMed).
Ne riassumiamo le parti salienti rimandando i lettori all’articolo integrale.
L’illustre Professore risponde che analizzando l’ultimo Rapporto OsMed non sembra che ci sia questa correlazione o, almeno, non emerge in modo significativo. “L’aumento dell’uso degli antidepressivi, prosegue Garattini, che abbiamo avuto è simile a quello che si è registrato negli anni scorsi: c’è stato un incremento dell’uso di antidepressivi, ma non si tratta di una grande variazione: nel 2021 è stato del 2,4%, mentre in precedenza si attestava attorno all’1,9%. Probabilmente, continua il Professore, una componente di questa percentuale sarà dettata dal difficile periodo vissuto a causa della pandemia da Covid-19, ma è una crescita contenuta. Dal punto di vista numerico, in Italia le persone che assumono antidepressivi sono 4 milioni e si stima che il 6% della popolazione italiana di età compresa fra i 18 e i 69 anni soffra di qualche forma di depressione“.
Il Prof. Garattini continua valutando le fasce di età degli utilizzatori di antidepressivi.
Valutando poi la distribuzione geografica degli utilizzatori di antidepressivi osserva che nelle regioni italiane settentrionali si rilevano 46,9 dosi giornaliere per mille abitanti, nel centro Italia 50,4 e nel sud 37,7. La regione in cui vengono utilizzati maggiormente gli antidepressivi risulta la Toscana con 66 dosi per mille abitanti, mentre la Campania ne conta 35.
“Queste differenze rispecchiano la capacità delle industrie di fare propaganda dei loro prodotti nelle varie regioni e nelle diverse situazioni, afferma con sicurezza il Professore. Molti assumono questi farmaci senza averne realmente bisogno: sappiamo che molte delle prescrizioni vengono fatte a chi si trova in condizioni che possono essere associate a forme di depressione o possono portare a stati depressivi, ma non si tratta sempre di casi patologici che richiedono necessariamente di essere trattati con antidepressivi“.
Proseguendo nell’intervista, il professore afferma che “i farmaci possono avere effetti collaterali e non portano solo benefici. La propaganda, che è fatta da chi produce i medicinali, si concentra sui loro aspetti positivi, ma vanno valutate anche le controindicazioni che possono dare luogo a situazioni che richiedono di assumerne altri. Da parte del servizio sanitario nazionale, del ministero della salute e dell’Aifa non c’è un programma finalizzato a dare un’informazione indipendente: il medico riceve solo il flusso del mercato: di fatto siamo in balia del mercato, non abbiamo altro tipo di informazione“.
Conclude dicendo che “gli interessi di chi vende sono superiori di chi paga e di chi riceve il farmaco. Il mercato dei farmaci funziona in modo diverso rispetto agli altri settori: la situazione è molto complessa e senza un’informazione indipendente nessuno ci può dire se un farmaco sia meglio di un altro“.
Le affermazioni del Prof. Garattini ci sembrano, con tutto il rispetto per l’illustre scienziato, del tutto apodittiche frutto di un pensiero ossessivo col quale da anni ci dice che tutto è riconducibile alla “propaganda” delle aziende farmaceutiche. Ovviamente senza un rapporto di causalità, anzi esistono prove che dimostrano il contrario. Per esempio nel 2007, e anni seguenti, ci furono migliaia (15.000 su 30.000) licenziamenti di informatori scientifici con il conseguente loro numero ridotto sul territorio. Si suppone che la “propaganda” sia diminuita e che quindi sia diminuito l’uso dei farmaci. Ebbene, in quegli anni la spesa farmaceutica aumentò! Adesso invece è in calo (la convenzionata).
Secondo i dati OsMed, e ripresi dal Prof. Garattini, la regione più virtuosa, in relazione al consumo di antidepressivi, è la Campania. La peggiore è la Toscana. Il dato OsMed però ci dice anche che i maggiori utilizzatori di antidepressivi si trovano nella fascia di età più anziana, quella superiore a 64 anni. È necessario allora analizzare la composizione della popolazione per fasce d’età delle due regioni (secondo ISTAT che riporta i dati del censimento della popolazione del 2019 pubblicato nel 2021)
In Campania l’indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e la popolazione di età 0-14 anni, moltiplicato per 100) secondo ISTAT è 135 e ci dice, sempre secondo l’ISTAT, cha la popolazione campana presenta una struttura per età sensibilmente più giovane di quella italiana, evidenziata anche dalla diversa forma delle piramidi delle età. La Campania, dice sempre l’ISTAT, si conferma la regione più giovane: il 51,6% dei campani ha meno di 45 anni (il 46,5% a livello nazionale), il 19,3% ne ha più di 64 (il 23,2% in media Italia).
In Toscana l’indice di vecchiaia, sempre secondo ISTAT, è 211,4. La popolazione toscana presenta, nel 2019, una struttura per età sensibilmente più vecchia rispetto a quella italiana, come emerge dal profilo delle piramidi per età. Crescono il peso e la consistenza delle classi più anziane. Le variazioni nella composizione per età della popolazione toscana si riflettono sui principali indicatori di struttura demografica. L’età media sale da 45,4 anni del 2011 a 46,8 del 2019 (in media Italia da 43,3 a 45,2); l’indice di vecchiaia (% popolazione in età 65 e più / popolazione in età 0-14) passa da 187,3 a 211,4; l’indice di dipendenza strutturale degli anziani (% popolazione in età 65 e più / popolazione in età 15-64) passa da 37,9 a 41,5.
I dati ISTAT parlano da soli e spiegano la diversità fra le due regioni. Ma non basta, secondo Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi toscani, le restrizioni decise per fronteggiare il covid hanno “aumentato la richiesta di prestazioni psicologiche: in Toscana nel 2020 si è segnalato un +30% rispetto al 2019. Solo nei primi tre giorni, dal 25 luglio, in Toscana ben 9.611 cittadini hanno fatto richiesta del bonus psicologo. La maggior parte rimarrà, però, tagliata fuori: i fondi per tutti non basteranno.
The OsMed report infatti ci dice a pagina 443 che “circa un paziente su tre con diagnosi di depressione è trattato farmacologicamente (30,9%) nel 2021, con una riduzione dello 0,3% rispetto al 2020. La prevalenza d’uso più elevata si osserva nelle Regioni del Centro (34,9%) rispetto a quelle del Nord (32,3%) e del Sud e Isole (27,2%) e nelle donne rispetto agli uomini (33,5% vs 25,6%). Tale prevalenza mostra inoltre un andamento crescente all’aumentare dell’età, passando difatti dal 36,1% nella fascia di età 66-74 anni al 46,2% dei soggetti più anziani (≥85 anni di età) (Tabella 3.6.2h)”.
Il Rapporto, afferma AIFA, ci dice inoltre che “l’incremento del consumo degli antidepressivi nel 2021 è in linea con la tendenza documentata negli anni precedenti e sembrerebbe non essere stato influenzato dalla pandemia in corso. In realtà il fenomeno appare più complesso considerando che a fronte di un incremento nazionale del 2,4% vi sono rilevanti differenze regionali e per macro-aree. Ciò potrebbe essere dovuto alla combinazione di più fattori quali la differente variabilità regionale e la ridotta accessibilità ai servizi, documentata dalla riduzione delle nuove diagnosi, che si inscrive su un pattern prescrittivo “storico” degli antidepressivi nei diversi territori nonché ad un possibile differente ruolo della medicina generale nelle diverse aree del Paese durante la pandemia”. In tutto questo la “propaganda” non centra niente,
Le aziende farmaceutiche faranno anche la loro parte, ma bisogna quindi considerare anche le diverse condizioni in cui si trovano le regioni: c’è chi è in fase di rientro sulla spesa farmaceutica, c’è chi premia i medici che non prescrivono farmaci, c’è chi viene sanzionato perché prescrive troppo, ecc., occorre poi valutare la variabilità individuale delle persone ed in particolare il numero di anziani presenti nelle regioni.
Può darsi che gli antidepressivi siano un’eccezione, ma i dati statistici su base regionale sull’uso dei farmaci in generale in Italia che IQVIA fornisce alle aziende farmaceutiche dice l’esatto contrario di quanto afferma il Prof. Garattini.
Inoltre, afferma il Prof. Garattini, che tutto è dovuto all’inefficienza e latitanza delle istituzione e di AIFA in particolare, di cui ha fatto parte, evidentemente inutilmente.
Occorre quindi ricordare che le pharmaceutical companies, devono versare ad AIFA un contributo pari al 5% dell’ammontare complessivo della spesa sostenuta nell’anno precedente per le attività di promozione al netto delle spese per il personale addetto. Sono maturati a tale titolo nel 2021 euro 21.302.778 destinati ad alimentare il fondo nazionale farmaci orfani per il 50% e per il restante 50 è da destinare all’informazione scientifica indipendente, alla vigilanza attiva, ricerche sui farmaci, formazione del personale.
Poi le aziende farmaceutiche devono versare ad AIFA 1.000 euro per ogni farmaco che hanno in commercio. Risulta per il 2021 un importo pari ad euro 8.470.852.
Ci sono poi a carico delle aziende i versamenti relativi alla maggiorazione del 20% delle tariffe dovute per le domande di autorizzazione o modifica all’immissione in commercio di specialità medicinali e per le altre attività regolatorie di competenza dell’Agenzia. Non hanno un vincolo di destinazione. Ammontano per 2021 a euro 12.058.280
Inoltre le aziende farmaceutiche per “convegni e congressi” che organizzano devono effettuare un versamento a titolo di tariffa per il rilascio delle autorizzazioni. È pari nel 2021 ad euro 3.300.319. Più un rimborso spese di euro 1.249.387.
C’è poi il cosiddetto payback cioè quella cifra che le aziende farmaceutiche devono versare per lo sfondamento da parte delle regioni del tetto programmato per la spesa farmaceutica. Per l’anno 2020 è stato di euro 1.395.816.315,70 e per il 2021 è di € 1.034.700.865.
Una montagna di soldi, ma il Prof. Garattini ci dice che non sa cosa faccia AIFA
Il farmaco non è certo un bene di consumo e le aziende farmaceutiche non sono delle Onlus, ma si provi ad immaginare un qualsiasi altro settore industriale gravato da simili oneri economici!