La Corte di Cassazione Sezione VI Penale, sentenza 51946 del 16 novembre 2018, ribadisce che per la normativa di riferimento (Direttiva 2002/46/CE, attuata in Italia con il D.Lgs 21 maggio 2004, n. 169), gli integratori alimentari sono definiti come “prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate“.
Pertanto gli integratori alimentari sono prodotti alimentari e come tali: a) non possono vantare proprietà terapeutiche né capacità di prevenzione e cura di malattie (etichettatura, presentazione e pubblicità); b) sono soggetti alle norme in materia di sicurezza alimentare. Dunque, un integratore non è un farmaco, non una specialità medicinale e non può essere considerato un prodotto a uso farmaceutico con conseguenti riflessi anche sul piano della integrazione in concreto del reato di comparaggio.
Il reato di comparaggio non è quindi configurabile quando le prescrizioni abbiano a oggetto semplici integratori alimentari e non specialità medicinali a uso farmaceutico.
La produzione e il commercio dei farmaci sono, nell’interesse pubblico, soggetti invece a particolari limitazioni per i quali l’art. 123 del D.Lgs. 219/06 stabilisce che “nel quadro dell’attività di informazione e presentazione dei medicinali svolta presso medici o farmacisti e’ vietato concedere, offrire o promettere premi, vantaggi pecuniari o in natura, salvo che siano di valore trascurabile e siano comunque collegabili all’attività espletata dal medico e dal farmacista“. Inoltre il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 170 punisce “il medico o il veterinario che ricevano, per sé o per altri, denaro o altra utilità ovvero ne accettino la promessa, allo scopo di agevolare, con prescrizioni mediche o in qualsiasi altro modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico“
La sentenza, ovviamente, non significa che i comportamenti corruttivi in materia di prodotti altri dai farmaci non integrino gli estremi di altri reati: la Suprema Corte ha infatti confermato la condanna del ricorrente, amministratore di un’azienda, per corruzione propria, commessa (nel caso in esame) con una serie di iniziative illecite finalizzate a favorire la prescrizione del parafarmaco: dazione di buoni carburanti a due Mmg; organizzazione di cene elettorali in favore di un altro medico candidato alle elezioni comunali, oltre all’assunzione di sua moglie; corresponsione di somme di denaro a un primario di pediatria e assunzione del di lui figlio come informatore farmaceutico e, infine, corresponsione di denaro (circa 1.500 euro) a un medico di base.
Cassazione Pen. Sez. 6 N. 51946 del 2018 – (Integratori)
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DECRETO LEGISLATIVO 21 maggio 2004, n. 169
Chiusa l’inchiesta Innovative Pharma: due imprenditori e sei medici accusati di corruzione