Un’economia che penalizzi le politiche industriali, comprimendo produzione e livelli occupazionali, non può andare lontano. Ne sanno qualcosa le industrie farmaceutiche che, nel settore sanità, sono state colpite a più riprese dalle necessità di risparmiare da parte dello Stato. Di certo, la farmaceutica ha subito più tagli delle Asl, nell’ultimo decennio. Forse però i margini di profitto realizzati con la vendita di farmaci etici e prodotti da banco, sono stati sempre abbastanza alti, da poter assorbire interventi tesi al risparmio.
Premesso questo, è anche vero che le industrie nazionali e multinazionali – non tutte – presenti sul territorio italiano, hanno fatto non grandissimi sforzi per essere competitive, per investire nella ricerca, per prevenire i doverosi interventi che mirano ad allineare l’Italia alle politiche sanitarie di altri paesi. Un esempio viene dalle decisioni del governo di introdurre con forza il farmaco generico che da noi è, come quota di mercato, fanalino di coda rispetto alle medicine di brand, di marca.
Proprio il generico, detto anche equivalente, viene additato come il nemico da abbattere, la causa di tutti i mali delle aziende farmaceutiche.
Su questa linea è la Menarini, una storica industria italiana, ormai presente soprattutto sul mercato mondiale. Infatti può essere definita l’unica nostra vera multinazionale. Sta di fatto che la Meranini ha annunciato di voler mandare via mille dipendenti, perché dall’introduzione dei generici il fatturato è crollato. Secondo i sindacati questo è un “ricatto” nei confronti del governo.
Ora va detto che le dichiarazioni in merito ai generici del direttore generale dell’azienda, sull’obbligatorierà per il medico di scrivere in ricetta il nome del principio attivo, non sono del tutto vere: questa obbligatorierà vale solo per chi inizia una cura. Per gli altri, e cioè la stragrande maggioranza delle persone che prendono medicine da prima del 15 agosto – giorno di introduzione della norma – si può continuare a prescrivere il farmaco “di marca”.
Questa è stata la mediazione raggiunta, proprio per evitare che l’introduzione dell’equivalente avesse un effetto traumatico sui fatturati delle industrie.
Ora come è possibile che la Menarini sia in così gravi difficoltà dopo appena tre mesi di generico? Va da sè che una risposta i vertici aziendali dovranno darla ai dipendenti – 3600 in Italia, 16 mila nel mondo – i quali per oltre il 90 per cento sono diplomati o laureati.
Certo alla famiglia Aleotti, proprietaria della Menarini, quindicesima azienda in Europa e trentaquattresima nel mondo, i soldi non mancano. Come hanno evidenziato alcune vicende giudiziarie degli ultimi anni. Basta scorrere negli archivi, per trovare queste notizie che riporto: nell’agosto 2010, è stata accertata in Liechtenstein la presenza di fondi oggetto di indagine per evasione fiscale, pari a 476 milioni di euro, di proprietà del titolare del gruppo Alberto Aleotti; il 25 ottobre 2010 la Procura di Firenze ha ottenuto il sequestro di denaro e beni per oltre un miliardo di euro di proprietà della casa farmaceutica nell’ambito di un’inchiesta sui vertici dell’azienda finalizzata ad accertare i reati di associazione a delinquere, riciclaggio, truffa aggravata e violazioni fiscali relative al quinquennio 2004 – 2009; il 23 novembre 2011, su ordine del Gip del Tribunale di Firenze, il nucleo dei Carabinieri del Nas di Firenze ha proceduto al sequestro preventivo di un ulteriore somma di euro
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