Una recente Ordinanza della Corte di Cassazione (Cassazione Civile Ord. Sez. L Num. 25287 del 24 agosto 2022) torna sul tema del pedinamento di un dipendente, a sua insaputa, da parte di un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro. La Cassazione con questa Ordinanza torna sulla possibilità di ingaggiare un detective per pedinare un dipendente: quando è legittimo e quando non lo è.
La giurisprudenza si è pronunciata più volte sulla legittimità del licenziamento frutto dei controlli fatti all’insaputa del lavoratore, spesso utilizzando i servizi di un investigatore privato. In passato la Cassazione ha ritenuto lecito il provvedimento di allontanamento per giusta causa basato sulle prove raccolte da un detective ingaggiato dall’azienda. A suo tempo ne abbiamo riferito i casi anche in relazione alla modifica dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300 del 1970) operata col cosiddetto “Jobs Act”.
In una recente ordinanza, la Suprema Corte ha confermato questo orientamento facendo, però, alcune precisazioni su quando il licenziamento è legittimo e quando non lo è. Quindi, si può licenziare un lavoratore spiato oppure no?
Riportiamo le valutazioni effettuate da “La legge per tutti” pubblicata il 26 agosto da Carlos Arija Garcia
È legittimo spiare un dipendente?
Prima di arrivare a capire se si può licenziare un lavoratore spiato c’è da porsi un’altra domanda di fondo: è legittimo controllare o pedinare un lavoratore dentro e fuori dalla sede dell’azienda?
Contrariamente a quello che si può pensare, non è lecito il controllo dei lavoratori all’interno dell’azienda o mentre stanno svolgendo la loro attività. La legge, infatti [Legge n. 300/1970], non consente degli accertamenti in questo contesto all’insaputa dei dipendenti. Quindi, è ad esempio vietato piazzare delle telecamere nascoste in qualche angolo di un ufficio per vedere come si comportano i lavoratori, a meno che il datore le ritenga necessarie per motivi di sicurezza o per altre ragioni e ne ottenga il consenso dai sindacati (n.d.r.: non ha valore il consenso del singolo dipendente rappresentando la parte debole e facilmente condizionabile).
Quello che invece può fare l’azienda è controllare il dipendente al di fuori dell’orario e della sede di lavoro anche servendosi da un detective, purché rispetti la privacy del lavoratore. E qui si apre un mondo: quando si ritiene rispettata e quando violata la privacy della persona pedinata?
Secondo la legge, non è consentito seguire un dipendente fin dentro il portone del palazzo dove abita. Non è nemmeno possibile arrampicarsi su un albero e filmare ciò che avviene nel suo appartamento. Sono vietate, infine, le riprese nel giardino privato se effettuate con metodi per superare eventuali barriere come staccionate, muretti o aiuole. Viceversa, l’attività investigativa svolta in aree aperte pur private ma prive di alcuna protezione, può essere oggetto di ripresa fotografica.
È legittimo licenziare un lavoratore spiato?
Secondo un’ordinanza del Tribunale di Padova [Trib. Padova ord. del 2-4.10.2019], il datore di lavoro che viene a conoscenza di una condotta del dipendente in grado di integrare una violazione del contratto oppure un illecito di qualsiasi tipo (amministrativo, civile o penale) è legittimato ad assumere un investigatore privato per pedinare il dipendente, entro i limiti che abbiamo indicato sopra. Il detective potrà anche scattare delle fotografie o effettuare delle riprese da utilizzare come prova della giusta causa del licenziamento. Il lavoratore può contestare le immagini, purché dimostri che sono state alterate o truccate oppure scattate in un orario o in una data che non corrispondono a quelle segnalate dal datore.
Il dossier del detective, di per sé, non ha il valore di prova ma il giudice può convocare l’investigatore a testimoniare. A quel punto, il racconto di quanto è stato visto in prima persona può essere acquisito agli atti del processo come prova «liberamente valutabile dal giudice».
Sulla stessa linea una sentenza della Cassazione [Cass. sent. n. 14454/2017] secondo cui il licenziamento è legittimo se il dipendente viene colto in flagranza di reato non solamente con mezzi diretti ma anche con mezzi indiretti. E – sostiene la Suprema Corte – l’attività di controllo di un investigatore privato è, appunto, un mezzo indiretto.
Per la Cassazione, dunque, la testimonianza del detective privato che indaga su eventuali illeciti commessi da un dipendente è sufficiente per il licenziamento.
Quando non è legittimo il licenziamento del lavoratore spiato
Una più recente ordinanza della Cassazione [Cass. ord. n. 25287/2022] ha stabilito che non è possibile licenziare un lavoratore spiato mentre, in orario di lavoro ma fuori dall’azienda, sfrutta la flessibilità per andare a prendere l’aperitivo con gli amici, a fare la spesa o ad allenarsi in piscina. Secondo gli Ermellini, infatti, i controlli sull’adempimento della prestazione contrattuale sono di competenza esclusiva del datore e dei suoi collaboratori e non possono essere delegati ad un detective privato.
In sostanza, il concetto è sempre quello: sì al pedinamento di chi è sospettato di commettere un illecito, no al controllo tramite agenzia investigativa di chi è in orario di lavoro fuori dall’azienda e, almeno in teoria, è impegnato nella sua attività.
Per fare un esempio, la Cassazione ritiene lecito il pedinamento di chi ha chiesto i permessi della legge 104 e, anziché assistere il parente con handicap grave, passa la giornata a fare shopping o in gita con il coniuge o
con gli amici. In questo caso, il licenziamento per giusta causa frutto dell’attività investigativa di un detective è legittimo.
Non lo è, invece (come nel caso esaminato dalla Cassazione nella citata ordinanza), il provvedimento preso contro il dipendente di una banca il cui lavoro si svolge spesso fuori dalla filiale che non osserva un orario fisso ma che durante il giorno si incontra con gli amici, va in palestra o al supermercato, ecc.
Insomma, svolge delle attività che nulla hanno a che vedere con il lavoro della banca. In questo caso, il lavoratore spiato non può essere licenziato perché all’investigatore è vietato indagare sull’attività lavorativa del dipendente. Unica eccezione, l’eventualità che scatti o filmati dimostrino un’attività delittuosa svolta dal lavoratore (se, ad esempio, spaccia droga) anche durante l’orario di servizio oppure siano diretti a provare l’esercizio di attività remunerata da un’altra azienda nelle ore in cui dovrebbe lavorare per chi gli dà la busta paga ogni mese.
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Note:
Jobs Act. Il termine deriva dall’acronimo di “Jumpstart Our Business Startups Act”, riferito a una legge statunitense, promulgata durante la presidenza di Barack Obama nel corso del 2011, a favore delle imprese di piccola entità mediante fondi. In Italia il termine è stato invece usato, per contaminazione con il sostantivo inglese “job”, per definire un insieme di interventi normativi in tema di lavoro a carattere più generale.
Jobs Act indica informalmente una riforma del diritto del lavoro (promossa e attuata in Italia dal governo Renzi, attraverso l’emanazione di diversi provvedimenti legislativi e completata nel 2016) volta a flessibilizzare il mercato del lavoro.
Il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (quello dei licenziamenti per giusta causa). Il Decreto legislativo n. 151/2015 (art. 23) ha modificato radicalmente il disposto dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
Con una nota in data 18 giugno 2015, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è intervenuto per fornire chiarimenti sulla questione dei cosiddetti “controlli a distanza” chiarendo che la riforma non “liberalizza” in maniera indiscriminata i controlli ma si limita a fare chiarezza circa il concetto di “strumenti di controllo a distanza” e i limiti di utilizzabilità dei dati raccolti attraverso questi strumenti, in linea con le indicazioni che il garante per la protezione dei dati personali ha fornito negli ultimi anni e, in particolare, con le linee guida del 2007 sull’utilizzo della posta elettronica e di internet.
Sempre in tema di controlli a distanza, l’ispettorato nazionale del lavoro nella circolare n. 2 del 7 novembre 2016 ha fornito indicazioni operative volte a chiarire entro quali limiti l’installazione su autovetture aziendali di apparecchiature di localizzazione satellitare GPS sia soggetta alle condizioni e procedure previste dal nuovo art. 4, comma 1, della legge n. 300/1970.