Nel giorno dell’8 marzo riportiamo sotto la storia di alcune donne che in Italia sono ai verici delle imprese farmaceutiche. Gli occupati nel settore farmaceutico sono oltre 65 mila persone di cui il 42% donne. “E’ da sempre un settore in rosa – chiarisce il presidente di Farmindustria Scaccabarozza – soprattuto nell’ambito della ricerca”.
Anche la nostra professione di ISF è sempre più declinata al femminile. Soprattutto nelle fasce di età più giovani. È necessario che anche i sistemi organizzativi aziendali tengano conto di questa nuova realtà, e vi si adeguino.
Il nostro pensiero va soprattutto proprio a tutte quelle anonime Informatrici Scientifiche del Farmaco che con fatica e dedizione portano la borsa tutti i giorni, che devono affrontare percorsi stradali stressanti tutto il giorno, affrontare pressioni aziendali altrettanto stressanti, affrontare i loro interlocutori con un sorriso nonostante l’ostilità, a volte offensiva, di sale d’aspetto intolleranti e alla sera a casa ad affrontare con “dolcezza” la famiglia, con ciò che comporta. Un lavoro ingiustamente considerato non usurante. E a “volte” capitano pure disparità salariali, scarsa rappresentanza nei ruoli apicali e dirigenziali (nonostante elevati titoli di studio), molestie, atteggiamenti di stampo sessista, demansionamenti successivi alla maternità e altre forme di disparità più o meno indirette.
Un augurio speciale alle donne ISF in questo giorno dell’8 marzo, che a loro noi dedichiamo, e con l’augurio, anche, che non sia lontano quel giorno in cui a questo lavoro venga riconosciuto il valore che merita. Che tutti i giorni siano l’8 marzo!
Le storie aziendali e le esperienze personali di presidenti e Ceo sono accomunate da grandi motivazioni individuali e da articolate policy interne, centrate anche su pacchetti di welfare e smart working che agevolino le condizioni di lavoro di tutti i dipendenti. Grande attenzione ai benchmark retributivi e alle misure di contrasto alle molestie sessuali.
Estratto da Aboutpharma – 7 marzo 2019 – di
Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato Msd Italia
“Da noi le donne costituiscono il 51,3% su circa mille dipendenti (dirigenti 43%, quadri 48%, impiegati 62%). Le cifre sono lievemente inverse a livello global (49% donne, 51% uomini). Per avere questi numeri vuol dire che il percorso è partito tanti anni fa. Inclusion & diversity da noi sono un progetto serio: nel mondo abbiamo tantissime iniziative e policy a partire da Msd woman’s network, Lesbian gay bisex network che investono anche altre categorie (es. disabili). In Italia al momento abbiamo aperto il chapter Msd woman’s network composto da 104 dipendenti che lavorano su progetti che favoriscano la cultura della diversity. Proprio grazie a tali progetti abbiamo introdotto lo smart working che sta migliorando il work life balance per tutti, non solo per le donne. A tutti i nostri dipendenti offriamo ad esempio 200 ore retribuite di permessi parentali, come pure è retribuito il tempo che occorre per le visite mediche. Teniamo molto al progetto Resources for living (es. sconti per l’attività fisica in tutta Italia, consulenze psicologiche gratuite e anonime, assistenza per problemi familiari; assistenza fiscale) e con il progetto Leave it ci prendiamo cura della salute dei dipendenti aiutandoli e consigliandoli nell’alimentazione e nell’attività fisica (nella sede di Roma c’è anche una piccola palestra).
Quanto al pay gap abbiamo fatto analisi per ruolo per vedere se esistevano differenze tra uomini e donne e quando le abbiamo trovate, le abbiamo risolte, facendo riferimento al benchmark di Tower Watson (società di consulenza globale specializzata anche in analisi delle retribuzioni secondo parametri precisi, n.d.r.). Abbiamo anche implementato misure per favorire la progressione di carriera delle donne. Se ne occupano l’European Menthoring Program – di cui sono sponsor – e il Woman leadership program of female leaders: tutte le persone che come me hanno ruoli apicali nell’organizzazione sono a disposizione di qualsiasi dipendente per avere consigli sulla propria carriera.
Sexual harrassment? Prevenzione e contrasto rappresentano un valore molte forte in MSD. Sono previste sanzioni disciplinari pesantissime. Sono da 25 anni in MSD, sono stata la prima Isf e la prima program manager donna. Dal primo giorno mi è stato detto che qualora avessi avuto un problema da questo punto di vista avrei dovuto farlo immediatamente presente al mio capo diretto, al HR, all’ethic e compliance e al presidente e ad dell’epoca perché non ci sarebbe stata alcuna forma di tolleranza. Abbiamo un servizio di speak up anonimo ma non lo usa mai nessuno.
A proposito della mia esperienza personale. Soprattutto all’inizio c’era la necessità di dimostrare il doppio per ottenere lo stesso risultato di un collega maschio. Adesso e da diversi anni non è più così. I valori e la cultura si sono trasformati, sia all’interno delle organizzazioni che verso il mondo esteno. Ovviamente il rinnovarsi delle generazioni è stato di grande aiuto.
Ho due figli, ho voluto fortemente una famiglia, non avrei mai messo davanti la carriera, ho anche rinunciato a una sua accelerazione perché volevo stare vicino a loro, né volevo che mio marito rinunciasse al suo lavoro per seguirmi all’estero. Ci sono state difficoltà in più legate al fatto di non essere mobile (in una multinazionale pesa…) ma volere e potere e se l’azienda crede nel tuo talento una possibilità te la dà. Poi sta a te metterti in gioco.
La mia responsabilità nel recruitment? Le quote sono servite ma oggi non le guardo più: conta solo assumere la persona giusta al posto giusto, indipendentemente da sesso, età, orientamento politico e religione. E si cerca di capire se quella persona sia o meno un talento da allevare”.
Silvia Nencioni, presidente e amministratore delegato Boiron Italia
“Per la filiale italiana, fondata nel 1979 a Segrate, lavorano oggi quasi 200 persone, la metà in sede, le altre sul territorio. C’è un bel dato sulle quote rosa: il 70% dei collaboratori di Boiron è donna e la proporzione è ben più alta nel board direttivo. In Boiron non basiamo le nostre ricerche sul genere e neppure sull’età. Piuttosto, cerchiamo persone con quelle che per noi sono attitudini preziose: la capacità di essere se stessi, di ascoltarsi e quindi di ascoltare anche gli altri. La parola d’ordine è ‘autrement’, la ricerca di “modi diversi” e creativi per svolgere al meglio il nostro lavoro. Ogni persona che entra a far parte di un’impresa, ne modifica il tessuto.
Quanto a me, mi sono laureata nel 1995 in farmacia e nello stesso anno ho iniziato il mio percorso in Boiron come informatore scientifico del farmaco, un vero e proprio ambasciatore dell’azienda sul territorio. In quegli anni, mi sentivo in prima linea nel contribuire allo sviluppo dell’omeopatia nel nostro Paese. Mi rispecchiavo nella volontà dell’azienda di mettere al centro il paziente e la sua salute, attraverso la produzione di medicinali efficaci e allo stesso tempo non iatrogeni. È stato Christian Boiron, allora direttore generale dell’azienda, a vedere in me del valore e ad affidarmi sempre maggiori responsabilità: ho ricoperto diversi incarichi fino alla nomina a responsabile nazionale dell’informazione medica nel 2003, direttore scientifico nel 2007, amministratore delegato nel 2009 e presidente di Boiron Italia dal 2012″.
Emma Charles, general manager Bristol-Myers Squibb Italia
“Siamo rare ai vertici delle aziende, ma preziose. Le donne esprimono una leadership orientata all’ascolto e all’inclusione attiva. Queste caratteristiche sono ancora spesso considerate come debolezze, mentre rappresentano una ricchezza. Personalmente sono molto orientata sullo sviluppo e l’accrescimento delle competenze delle persone. La chiave sta nella responsabilità di ognuno.
Pay gap? Resiste nel mondo del lavoro in generale, prova ne siano le numerose azioni a favore dell’uguaglianza salariale messe in campo da diversi paesi dell’Unione europea, ma che spesso hanno solo valore programmatico. Nella nostra azienda, invece (410 dipendenti, n.d.r.) abbiamo attivato meccanismi e politiche retributive orientate esclusivamente alla valorizzazione delle competenze, non abbiamo quindi il problema delle differenze retributive basate sul genere. Tutte le policy aziendali sono “gender neutral”, sia quando selezioniamo nuovi candidati sia quando promuoviamo le nostre persone.
Un esempio concreto della possibilità per le donne in Bristol-Myers Squibb di accedere alle posizioni più alte dell’azienda è la composizione del nostro Leadership Team in cui il numero di direttori donne è pari a quello degli uomini. Come donna, madre e manager sono convinta che per favorire l’accesso delle donne al mondo del lavoro e a ruoli manageriali si debbano promuovere strategie per conciliare impegni di lavoro e della vita privata. In Bristol-Myers Squibb, ormai da tempo, adottiamo il programma di smart working che, da quest’anno, diventerà di due giorni a settimana.
Per incoraggiare e favorire la cultura della diversità e dell’inclusione abbiamo lanciato nel 2018 anche in Italia il progetto B-Now (Bristol-Myers Squibb Network Of Women) che sostiene lo sviluppo delle donne in azienda sia per quel che riguarda la crescita professionale che per lo sviluppo di una leadership al femminile. Intendiamo anche aumentare la capacità di attrarre le donne all’interno di Bms, soprattutto giovani laureate in materie scientifiche Stem (Science, Technology, Engineering e Mathematics). Abbiamo inoltre lanciato quest’anno un’altra importante campagna sulla chiamata Possibility Lives, dedicata a tutti i dipendenti, ai quali chiediamo di mettere in pratica ogni giorno azioni concrete a favore dell’inclusione, come ad esempio esplorare nuove idee. Poiché la nostra missione è fornire farmaci innovativi a persone affette da gravi malattie, vogliamo incoraggiare una cultura che abbracci punti di vista differenti per accrescere la qualità delle nostre decisioni.
Per noi donne è più difficile fare carriera e non soltanto per i vincoli posti dalla società o dalle aziende, ma proprio per come noi affrontiamo la vita, in modo così diverso dagli uomini. Noi abbiamo l’ambizione di voler gestire tutto insieme: lavoro, famiglia e realizzazione personale. E lo vogliamo fare imponendoci livelli di performance molto alti. Personalmente vengo da una famiglia in cui le donne hanno sempre lavorato ed erano finanziariamente indipendenti. Mia madre professoressa all’università, mia nonna postina. Credo sia molto importante per le donne poter seguire le proprie aspirazioni, realizzare le proprie ambizioni ed essere fiere di questo”.
Tiziana Mele, amministratore delegato Lundbeck Italia
“Il 75% dei nostri dipendenti è donna (30 persone in sede e 80 sul territorio) con un età media di 44 anni. Sono stati fatti notevoli passi avanti contro la discriminazione di genere nell’industria healthcare ma essere donna in Lundbeck non è mai stato un problema, piuttosto un valore: prima di firmare il contratto scoperto di essere incinta e l’ho comunicato in azienda, ma non mi hanno posto alcun tipo di ostacolo, anzi, mi hanno eliminato anche il periodo di prova. È stata una testimonianza di fiducia, soprattutto nel non voler far pesare quell’evento per me così bello. Non posso sapere quante aziende avrebbero fatto altrettanto ma di certo non è un atteggiamento comune. Basta verificare la composizione dei comitati esecutivi per capire quanto il problema sia reale nelle altre realtà. Quello di Lundbeck Italia è al momento tutto femminile (ora ci sono due posizioni scoperte e sto cercando anche uomini per diversity e per creare un equilibrio), a livello aziendale su 110 dipendenti, il 52% è composto da donne.
Nella nostra realtà non esiste pay gap. Abbiamo una matrice di riferimento, ci basiamo sul benchmark di ruolo rispetto alla media di mercato e, in base alla performance della persona, abbiamo griglie di incremento salariale. Il gap, quando c’è, non è rispetto al sesso. Anche da prima della mia assunzione erano attive adeguate policy e la storia della mia assunzione lo testimonia. Negli ultimi anni abbiamo portato avanti la politica di premiare il talento femminile accanto ai tanti talenti maschili. Quando sono arrivata in Lundbeck il management team era composto da tutti uomini e da solo due donne: in quattro anni il loro numero è raddoppiato. Non abbiamo in programma progetti sul tema dell’inclusion&diversity perché per me di fatto non è un problema. Non abbiamo bisogno di un progetto e lo dimostrano i fatti”.
Monica Poggio, ceo di Bayer Italia
“Bayer è un’azienda molto aperta dal punto di vista dell’inclusione e del genere, della famiglia e delle persone e questo fatto porta di per sé anche l’inclusione del genere femminile. Se guardiamo poi i dati di Bayer Italia, quasi il 50% della popolazione è femminile, così come per le posizioni di quadro. Inoltre il 35% circa delle posizioni di dirigenza è ricoperto da donne. Nella nostra azienda non ci sono numeri che dimostrano ostacoli, anzi, viviamo in una realtà in cui le donne hanno accesso anche grazie a sistemi di sviluppo della posizione e del proprio potenziale che evitano gap di genere”.
Rita Cataldo, presidente e country manager Takeda Italia
“Quando si parla di questo tema dico sempre che per me non è stata una questione di genere. Fin dai tempi dell’università (sono laureata in chimica industriale) eravamo poche donne e devo dire che non ho mai incontrato nessun tipo di difficoltà, anzi. Direi fin dall’inizio mi sono trovata in un contesto di pari opportunità. Forse perché ho avuto il privilegio di lavorare in aziende multinazionali dove il concetto di diversità e inclusione era già ben integrato e grazie alle mie competenze, il mio background universitario ed esperienze di lavoro anche all’estero, ho avuto le stesse opportunità dei miei colleghi. Mi piace sempre dire alle colleghe di non farne una questione di genere, prima bisogna mettere in evidenza le proprie competenze. Tutto il resto viene da sé. Io sono contraria alle quote, sono una forma di discriminazione”.
Mancano all’appello – non certo per scelta editoriale – le esponenti delle grandi dinastie industriali (es. Lucia Aleotti, Diana Bracco, Elena Zambon). AboutPharma confida in una prossima occasione.
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