La disconnessione: passo fondamentale per sostenere il benessere digitale.
Il diritto alla disconnessione è un concetto che sta guadagnando sempre più importanza, soprattutto in un mondo del lavoro sempre più digitale e connesso. Si riferisce al diritto dei lavoratori di non essere reperibili o di non dover rispondere a comunicazioni di lavoro al di fuori del loro orario lavorativo, ad esempio in serata, nei fine settimana o durante le ferie.
L’importanza del diritto alla disconnessione
Questo diritto nasce dall’esigenza di proteggere il benessere psicofisico dei lavoratori, sempre più esposti al rischio di burnout e di iperconnessione a causa della disponibilità costante resa possibile dalle tecnologie digitali.
Con lo smart working, diffusosi ulteriormente nel corso della pandemia, è diventato ancora più pressante il bisogno di tracciare confini chiari tra la vita professionale e quella privata.
È chiaro che, in un contesto simile, il rischio di ricadere in una situazione di “over-comunication” sia molto elevato.
Le nuove possibilità di reperibilità costante e connessione totale hanno avuto un impatto straordinario in ogni realtà lavorativa.
Dipendenti e manager rischiano però di vedersi intrappolati in un loop di continua comunicazione, rendendo difficile la separazione fra lavoro e vita privata. Fortunatamente, esistono dei contesti normativi che, soprattutto in questo nuovo contesto di smart working, tutelano i lavoratori favorendone e garantendone la disconnessione.
La disconnessione comporta una serie di benefici per la salute, ad esempio la riduzione dello stress, in quanto staccarsi dalle comunicazioni di lavoro al di fuori dell’orario lavorativo aiuta a diminuire il carico mentale e la fatica accumulati.
Tra i tanti aspetti organizzativi e logistici da mettere a punto quello del diritto alla disconnessione è un tema risolto solo parzialmente. Le domande che molti datori di lavoro continuano a porsi sono: “Il diritto alla disconnessione è garantito per legge?”. Oppure: “Posso contattare un lavoratore in smart work fuori dall’orario di lavoro?”.
Il diritto alla disconnessione è stato pensato per stabilire dei confini marcati alle comunicazioni dopo l’orario di lavoro e per fornire ai dipendenti il diritto di non impegnarsi in alcuna attività lavorativa una volta a casa. Esso riguarda non solo il diritto di scollegarsi, ma anche quello di non essere rimproverati per non essersi connessi
In Italia il diritto alla disconnessione non è ancora dettagliato come in Francia. L’unico riferimento è attualmente presente nella legge del 2017 sul lavoro agile che prevede espressamente che: «nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi».
In Italia, come accennato sopra, il diritto alla disconnessione è stato introdotto per la prima volta con la legge 81/2017, la cosiddetta legge sullo smart working. L’articolo 19 della legge sullo smart working impone che il tempo libero venga definito dal contratto ma non c’è indicazione di alcuna norma generale che funga da “quadro” per tutti i lavoratori in smart working.
Il diritto alla disconnessione non viene mai nominato come tale e che la sua applicazione ricada nella negoziazione individuale. Lasciando i termini relativi alla disconnessione all’accordo tra datore di lavoro e dipendente, la legge concede ampio respiro ad abusi e iniquità che possono essere perpetrati dal datore di lavoro. Oltre a questo, come detto, in Italia la norma riguarda solamente i lavoratori in smart working.
In altre parole, il legislatore riconosce ai lavoratori in smart work non solo il diritto al riposo ma anche la possibilità di scollegarsi dalle strumentazioni tecnologiche. Tuttavia, il testo non è specifico sul tema ma invita lavoratori e datori ad accordarsi sui tempi e le modalità.
A livello normativo inoltre è rilevante anche quanto contenuto nella più recente legge 61/2021, la prima a parlare chiaramente del diritto alla disconnessione come una necessità volta a garantire ai lavoratori i giusti tempi di riposo.
Inoltre, sempre da questa legge si apprende che un lavoratore può decidere di spegnere lo smartphone o di disattivare le notifiche senza rischiare alcuna ripercussione sul posto di lavoro. Quanto detto implica che un lavoratore in smart work può non rispondere al datore di lavoro, a un superiore o a un collega.
Il presidente del Garante per la protezione dei dati personali ha espresso un interessante punto di vista nella sua audizione del 13 maggio 2020 sulle “ricadute occupazionali dell’epidemia da Covid-19”.
Il presidente del Garante ha affermato come sia necessario assicurare “in modo più netto di quanto già previsto – anche quel diritto alla disconnessione, senza cui si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.
Oltre all’importante tema della tutela del tempo libero del lavoratore, il presidente del Garante si è soffermato anche sulla necessità di impedire ai datori di lavoro “un computer dotato di funzionalità che consentano al datore di lavoro di esercitare un monitoraggio sistematico e pervasivo dell’attività compiuta dal dipendente tramite, appunto, questo dispositivo”. In questo modo è stata ricalcata l’importanza non solo del diritto alla disconnessione, ma anche del prevenire gli eccessi nell’utilizzo del potere di controllo da parte del datore di lavoro.
La diminuzione o, in alcuni casi, la totale mancanza di separazione fra lavoro e vita privata comporta rischi gravissimi per la salute psicologica dei lavoratori. I principali danni causati possono essere:
- Tecnostress: ovvero lo stress derivato da un utilizzo lavorativo incorretto delle nuove tecnologie, che porta a sovraccaricare i flussi di informazione generando ansia, insonnia e mal di testa.
- Sindrome da burnout: ovvero un grave logorio psichico ed emotivo derivato dallo stress lavorativo che può sfociare in disturbi dissociativi, aggressività e svariate problematiche fisiche
Oltre ai rischi patologici della mancata disconnessione, l’eccessivo sovraccarico di informazioni e la costante necessità di mantenere un’elevata attenzione può tradursi in una drastica diminuzione della produttività individuale. Nella valutazione della performance del personale, è importante tenere a mente la stanchezza fisica e la demotivazione. Questi elementi, infatti, possono portare il lavoratore “iperconnesso” ad essere incredibilmente meno efficiente di un lavoratore più moderato.
Non ci sarebbe bisogno del diritto alla disconnessione se non ci fossero problemi organizzativi di fondo negli ambienti di lavoro. La maggior fonte di preoccupazione dei dipendenti è l’elevato carico di lavoro, che non sono in grado di svolgere durante la normale giornata lavorativa. Questo porta spesso molti quindi a lavorare ore aggiuntive (spesso non retribuite) per la necessità di essere collegati al lavoro.
Se un area manager continua a inviare email dopo la fine della giornata lavorativa e si aspetta una risposta immediata dai componenti del suo team, questo influenzerà inevitabilmente il comportamento dei dipendenti nel rispettare il diritto alla disconnessione.
Il diritto alla disconnessione, non è riconosciuto allo stesso modo nei Paesi dell’UE. Alcuni lavoratori sono più tutelati altri meno a seconda del paese il cui risiedono.
In Europa non c’è quindi un’unica norma riconosciuta e applicata da tutti gli Stati membri. Tuttavia, non mancano inviti, proposte e raccomandazioni. L’obiettivo è arrivare a definire delle condizioni omogenee e applicabili su tutto il territorio europeo.
Fonte: Diritto alla disconnessione e smart working: come funziona in Italia e in UE
Riportiamo brevemente il caso della Gran Bretagna che affronta dei problemi simili ai nostri.
In Gran Bretagna si sta attuando una riforma in 28 punti per cambiare il mondo del lavoro britannico. Il governo laburista guidato da Keir Starmer l’aveva annunciata da tempo, e oggi, 10 ottobre, l’ha finalmente presentata. L’Employment Rights Bill elimina modalità di sfruttamento come i contratti a zero ore (ndr.: è quello in cui il datore di lavoro non garantisce un numero specifico di ore ma offre un lavoro quando ne ha necessità) e le pratiche di licenziamento e riassunzione (fire and hire), che fino a oggi hanno permesso ai datori di lavoro di licenziare un dipendente e poi riassumerlo con condizioni peggiori. In futuro tutti i lavoratori avranno diritto alle protezioni dal licenziamento senza giusta causa sin dal primo giorno di assunzione.
L’Employment Rights Bill promuove fra l’altro il “lavoro flessibile”, che in questo caso non dobbiamo tradurre alla lettera, ma è da intendere come smart working o lavoro da remoto. Lo smart working nel Regno Unito potrebbe diventare la norma, e sarebbe la fine della centralità del lavoro in presenza, a meno che il singolo datore di lavoro non ne dimostri la necessità. “Questo cambiamento riconosce l’importanza di bilanciare vita lavorativa e privata, soprattutto in un contesto in cui il lavoro da remoto e lo smart working hanno acquisito una rilevanza crescente”, commenta il documento ufficiale del governo britannico. Sarà anche materia di un documento successivo, Next Steps, in cui il governo illustrerà le ulteriori riforme sul “diritto alla disconnessione”.
Fonte: Collettiva
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