La possibilità di istituire presso l’Inps un fondo per la gestione degli esuberi del settore chimico/farmaceutico è notizia di sicuro interesse.
Poco tempo dopo l’entrata in vigore della “riforma Fornero”, che non ha riguardato unicamente l’innalzamento dell’età pensionabile, bensì anche la contemporanea riduzione dell’importo e della durata degli ammortizzatori sociali (eliminazione dell’indennità di mobilità e introduzione della Naspi), è diventata non rinviabile l’esigenza di studiare e mettere in campo una “struttura” che gestisse le inevitabili criticità che si sarebbero presentate, qualora le imprese si fossero trovate nella necessità di riorganizzarsi e/o riconvertirsi.
Un fondo simile è già presente da diciassette anni nel nostro Paese, il cosiddetto “Fondo Esuberi” del settore del credito, che permette un’uscita dal mondo del lavoro fino a sette anni prima del raggiungimento dei requisiti pensionistici.
L’ottimo collega Giammei si domanda, giustamente, chi dovrebbe finanziare tutto ciò. Beh, nel settore bancario di cui sopra questo fondo di solidarietà è a carico totalmente e direttamente delle aziende.
Una parte di questo contributo è pagato dal lavoratore, allo stesso modo in cui viene finanziato il Fonchim nel nostro settore.
In sostanza lo Stato arriva a sostenere il lavoratore con la Naspi ma, se le aziende dovessero avere ulteriori esigenze di flessibilità, trovo corretto che loro stesse si facciano carico degli oneri aggiuntivi, senza scaricarne i costi sulla collettività, sullo stato Pantalone.
Ci sarebbe parecchio da dire riguardo al ruolo del Sindacato, che io ritengo essere oggi un “male necessario” e che mi piacerebbe (ebbene sì, ho qualche speranza) tornasse alle origini, a riscoprire le ragioni fondanti della sua esistenza.
Ma questa è tutta un’altra storia…
Francesca Boni
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