L’incidenza dei farmaci a brevetto scaduto soggetti a prezzo di riferimento e generici, ha superato, a giugno, il 73% delle confezioni erogate in regime di Ssn, con un peso, in termini di spesa, di poco più del 50% del totale della convenzionata
Mercoledì, 01 Ottobre 2014 – Farmacista33
L’incidenza dei farmaci inseriti nelle liste di riferimento dell’Aifa, che comprendono farmaci a brevetto scaduto soggetti a prezzo di riferimento e generici, ha superato, a giugno, il 73% delle confezioni erogate in regime di Ssn, con un peso, in termini di spesa, di poco più del 50% del totale della convenzionata, e mostra una situazione più o meno omogenea nelle varie Regioni.
Mentre se si focalizza l’attenzione sui soli generici, emergono forti differenze a livello territoriale, con un’oscillazione che va dal valore minimo della Basilicata al valore massimo della provincia di Trento. Il quadro viene fuori dalla consueta rielaborazione di Federfarma dei dati sulla spesa farmaceutica Ssn relativi al primo semestre 2014, nel focus dedicato all’«incidenza di equivalenti e generici» che mette in luce anche un importante fenomeno: «i generici veri e propri mostrano di essere ormai una realtà consolidata, con una quota di mercato che ha superato il 25% delle confezioni totali Ssn e il 14% della spesa».
Ma, continua l’analisi, se «l’incidenza dei farmaci inseriti nelle liste di riferimento su spesa e consumi Ssn è piuttosto omogenea tra Regione e Regione, l’incidenza dei farmaci generici presenta maggiori differenze a livello territoriale». Anche perché, ricorda Federfarma, «è necessario considerare che per lo Stato è indifferente se il cittadino prende il generico o il farmaco di marca a brevetto scaduto» dal momento che il meccanismo prevede che «il prezzo di rimborso a carico del Ssn sia sempre lo stesso» e, in presenza di una differenza di prezzo, sia «il cittadino a pagare» per il valore eccedente.
I dati mostrano quindi una variabilità che va da una situazione come quella presente in Basilicata in cui l’incidenza dei generici sulle confezioni dispensate in regime di Ssn è pari al 17,71% (9,99% in termini di spesa), in Calabria, con un 18,20% in termini di confezioni e un 10,02% sulla spesa, e in Sicilia, con un 18,25% sulle unità dispensate e 10,29% sulla spesa, al picco della provincia di Trento, dove il generico incide con un 38,22% sul totale delle confezioni e del 23,47% sulla spesa, della Lombardia, con un 33,64% delle confezioni erogate e un 18,83% sulla spesa, dell’Emilia Romagna (31,89% e 20,33%), o di Bolzano (31,12% e 18,44%).
In generale, l’incidenza del generico, sia sulle confezioni dispensate, sia sulla spesa, risulta maggiore nelle Regioni del nord e del centro mentre più bassa al sud, con tutte le Regioni del sud che, per confezioni, si rivelano sotto la media nazionale e con Sardegna e Umbria che mostrano valori che si avvicinano alla media nazionale (rispettivamente di 23% e 13,36% per la Sardegna e di 24,99% e 15,12% per l’Umbria).
Francesca Giani
Spesa convenzionata: in farmacia troppi farmaci consolidati, manca innovazione
Mercoledì, 01 Ottobre 2014 – Farmacista33
Le farmacie si stanno sempre più impoverendo sul fronte dell’innovazione e il fenomeno è reso evidente anche dal dato sull’incidenza dei farmaci soggetti a prezzo di riferimento inseriti nelle liste di trasparenza dell’Aifa sul totale di quelli erogati dal Ssn, pari al 73%, che ci dice come la maggior parte dei medicinali erogati nelle farmacie siano farmaci consolidati.
Per questo, il calo che le Regioni virtuose, come il Veneto, segnano nella farmaceutica andrebbe riconosciuto alle farmacie, capaci di creare economie, anche riportando nei nostri presidi i farmaci ad alto contenuto innovativo.
L’appello arriva da Alberto Fontanesi, presidente di Federfarma Veneto: «Il fenomeno è stato messo in luce ancora una volta dalla rielaborazione dei dati sulla farmaceutica diffusi da Federfarma: il fatto che i farmaci inseriti nelle liste di riferimento abbiano raggiunto il 73% del totale delle unità dispensate in regime Ssn è un segnale che a noi non piace perché mostra quanto la situazione in farmacia sul fronte dell’innovazione sia ferma.
Credo che le Regioni dovrebbero calare nella realtà l’indicazione del ministero della Salute di valorizzare di più le farmacie del territorio nell’erogazione di farmaci ad alto contenuto innovativo, per altro con vantaggi per i cittadini in termini di accesso alle cure. Il mio appello va in particolare a quelle regioni virtuose come il Veneto che ancora una volta ha raggiunto un buon risultato segnando un calo sulla farmaceutica (-4,2% nel primo semestre), che ci tengo a ribadire va ascritto all’impegno delle farmacie del territorio, e guadagnandosi il plauso del governatore Zaia.
A fronte di risparmi che le farmacie continuano a produrre, credo sia arrivato il momento, per il Veneto ma anche per le altre regioni, di dare un riconoscimento ai nostri presidi, iniziando a puntare e a investire davvero sulla farmacia. D’altra parte, riportare l’innovazione in farmacia, anche attraverso la Distribuzione per conto, non produce ulteriori spese, perché il costo di acquisto dei farmaci per le strutture sanitarie rimane lo stesso, e anzi ne deriverebbero piuttosto risparmi perché le farmacie distribuiscono una confezione alla volta contribuendo a una riduzione degli sprechi».
Francesca Giani
Costi malattie cuore a quota 18,3 mld nel 2014
Entro la fine del 2014 le malattie cardiovascolari causeranno 236.719 morti all’anno in Italia, pari a un costo totale per l’economia di 18,3 miliardi di euro. E da qui alla fine del decennio il dato è destinato a salire ancora: entro il 2020 si stima che i decessi raggiungeranno quota 252.065 l’anno, con un costo complessivo di 23 miliardi di euro.
E’ quanto emerge da un nuovo rapporto del Centre for Economic and Business Researchb (Cebr), promosso da AstraZeneca I costi diretti delle malattie cardiovascolari peseranno sul sistema sanitario italiano per 14 miliardi entro la fine del 2014 (cifra che salirà a 18,2 mld entro fine 2020).
Mentre l’impatto sull’economia sarà, sempre entro fine 2014, di 65 euro pro capite per perdita di produttività legata alle morti premature (4,4 mld entro fine 2020). A questo si aggiunge il costo della morbilità connessa alle patologie del cuore, tra cui l’assenza dal lavoro per malattia, che sarà entro fine anno pari a 53 euro pro capite (0,441 miliardi di euro nel 2020).
Questo perché le malattie cardiovascolari rubano forza lavoro, visto che non risparmiano i più giovani:sui quasi 237 mila morti stimati per fine 2014, ben 14.518 riguarderanno la popolazione in età lavorativa (numeri che dovrebbero salire a 15.677 entro il 2020).
Paola Olgiati – 01/10/2014 – PharmaKronos