La vicenda giudiziaria, promossa dal Sindacato, aveva già visto una prima sentenza e una seconda in appello che condannavano Damor per comportamento antisindacale.
“La Damor – si legge nel testo della sentenza del 12 giugno della Sezione Lavoro del Tribunale Ordinario di Bologna – ha contestato al lavoratore ISF Pietro Gualandi, RSU, di aver tenuto una condotta infondatamente e immotivatamente contraria agli interessi dell’impresa, nonché lesiva della sua immagine reputazionale, anche dinanzi all’Autorità Giudiziaria”.
La contestazione all’ISF RSU, affermava Damor, riguardava anche “l’aver fatto diffondere a mezzo internet (in particolare su ben due distinti siti web – uno è il sito Fedaiisf -), e per ciò con il canale dotato della massima e immediata capacità divulgativa verso il pubblico, notizie false e denigratorie a nostro carico, tali da rappresentare capziosamente la Società come operatore dedito a gravi condotte illegittime, anche nelle forme di veri e propri abusi, sia nei rapporti con il personale che nelle relazioni industriali”.
Il giudice nella prima sentenza afferma che vi è una evidente, indiretta valenza punitiva nei confronti del sindacato ricorrente. Viene dichiarata, pertanto, l’antisindacalità dei predetti comportamenti e l’azienda viene anche condannata a pubblicare sui principali giornali italiani il decreto del Tribunale
Anche in appello il Tribunale di Bologna con sentenza del 7 novembre, con nuova pronuncia, continua a confermare l’illegittimità del comportamento datoriale, entrando ancor più nel merito delle contestazioni disciplinari, esclude che la Rsu, Dott. Pietro Gualandi, possa rispondere dei contenuti di un testo non firmato “la cui imputazione deve, secondo le regole della responsabilità delle pubblicazioni, effettuarsi sulle redazioni dei due siti”. Inoltre “considerandone il tenore, il contenuto e la forma” non potrebbe mai essere ritenuto un “illecito disciplinarmente rilevante, non rilevandosi alcun linguaggio offensivo, denigratorio o incongruo verso la parte datoriale”.
Filctem Cgil aveva vinto con l’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori impugnando il licenziamento come azione antisindacale.
Anche Gualandi, come semplice lavoratore, al di là dall’essere sindacalista, ha impugnato il licenziamento per violazione dell’art. 18 (licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo) dello Statuto dei Lavoratori. Ora anche questa azione giudiziaria è andata a sentenza e pubblicata il 15 febbraio scorso (Tribunale Ordinario di Bologna – Sez. Lavoro – Sentenza 161/2024 pubbl. 15.02.2024 RG n.632/2023)
L’Avv. Difensore dell’ISF ribadisce nel dibattimento la natura chiaramente ritorsiva del licenziamento, e inoltre che si continua ad attribuire al Gualandi pubblicazioni su testate giornalistiche che non sono sue.
Il Gualandi era accusato ed era stato sospeso dal datore di lavoro per aver testimoniato il falso in un procedimento a Catanzaro su il licenziamento di un ISF che avrebbe ritardato l’invìo dello scarico saggi. Il Tribunale ora sentenzia: “Quest’ultima è una circostanza che nulla ha a che vedere con una falsa testimonianza, non dimostra certo che il teste conoscesse la procedura scritta, ma al più semplicemente che rispettasse indicazioni date anche oralmente.” Per tali motivi, la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione va annullata e la società va condannata.
Riportiamo ora integralmente il testo della sentenza:
Venendo quindi al licenziamento disciplinare, il ricorrente ha chiesto in via principale accertarsi la natura ritorsiva dello stesso, e la conseguente nullità ai sensi dell’art. 18 comma 1 Statuto dei Lavoratori; in subordine, ha chiesto accertarsi la radicale infondatezza degli addebiti, con le tutele di cui all’art. 18 co.4 SL. Come già si è detto, il licenziamento si fonda sulla circostanza, contestata disciplinarmente al Gualandi, di aver “fatto diffondere” a mezzo internet notizie false e denigratorie a carico della società.
In particolare, la contestazione si riferisce a un articolo, pubblicato sul sito ufficiale di FEDAIISF e sul sito “Informatori.it”, relativo alla già citata vicenda giudiziaria (di Catanzaro) sul licenziamento dell’ISF T., il cui titolo (“Damor. ISF licenziato per ritardato invio “scarico saggi”. Il Giudice: motivazioni “simulate e pretestuose”. Va reintegrato”) conterrebbe una palese falsità.
Ebbene, a parte l’ovvia considerazione che il Tribunale di Catanzaro ha effettivamente ordinato la reintegra del T., informatore licenziato per il ritardato invio delle richieste mediche, ciò che appare dirimente è la circostanza che non vi è alcuna prova del fatto che il Gualandi sia l’autore degli articoli.
Viene sentito come teste C. che riferisce come colpa a Gualandi ciò che gli ha riferito B. e che lui ha riportato in azienda.
La deposizione del C., afferma il giudice, oltre ad essere all’evidenza una deposizione de relato, appare anche del tutto evanescente nel contenuto, poiché non è dato comprendere cosa il teste intenda nell’affermare che Gualandi sarebbe stato “il promotore” delle due pubblicazioni in oggetto.
In ogni caso, neanche il teste attribuisce al Gualandi la paternità dello scritto, il che preclude in radice la possibilità di configurare una responsabilità disciplinare a suo carico in ordine alla formulazione letterale del titolo dell’articolo.
Quanto invece all’eventualità che il Gualandi si sia limitato a segnalare alla testata giornalistica l’emissione della pronuncia del Tribunale di Catanzaro – circostanza questa che non può certo ritenersi provata sulla base della sola deposizione del C., sul punto assolutamente generica – tale condotta non assumerebbe alcun rilievo disciplinare.
Inoltre la parte datoriale ha contestato al Gualandi di essere stato il promotore di due pubblicazioni su pagine web dei giorni 8 e 9 marzo 2023, che conterrebbero notizie false sia nel titolo che nel corpo degli articoli (peraltro l’articolo è uno, ripreso il giorno successivo da altra testata).
In realtà si tratta di un testo non firmato, la cui imputazione deve, secondo le regole della responsabilità delle pubblicazioni, effettuarsi sulle redazioni dei due siti, non potendo rispondere del contenuto il sig. Gualandi, che si sarebbe limitato, in assenza di prove specifiche e circostanziate in senso contrario, a notiziare l’articolista dell’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, che aveva reintegrato un dipendente della parte opponente.
Già una simile considerazione rende del tutto pretestuosa la contestazione disciplinare e, come tale inidonea a sorreggere il provvedimento espulsivo irrogato nei confronti del dipendente.
Peraltro, non può non sottolinearsi che, da un lato anche se l’articolo fosse stato scritto direttamente dal dipendente, considerandone il tenore, il contenuto e la forma, non sarebbe mai potuto essere ritenuto un illecito disciplinarmente rilevante, non rinvenendosi alcun linguaggio offensivo, denigratorio, o incongruo verso la parte datoriale, dall’altro lato che, tanto la segnalazione dell’ordinanza ad un articolista, quanto (eventualmente, ma non è questo il caso, come evidenziato) la formazione dell’articolo integrante una opinione personale, rientrerebbero sicuramente nelle attività a titolo divulgativo proprie di un sindacalista nei confronti degli iscritti e dei dipendenti in generale”. In sintesi, l’addebito appare radicalmente insussistente.
La radicale infondatezza dell’addebito, unitamente agli altri elementi indiziari fa poi ritenere provata la dedotta ritorsività del licenziamento stesso. Nulla osta pertanto all’accoglimento della domanda avanzata dal ricorrente in via principale.
Deve pertanto essere dichiarata la nullità del licenziamento intimato al ricorrente e, ai sensi dell’art. 18, co.1, SL, deve essere ordinato alla società convenuta la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro e nelle mansioni, con condanna al pagamento a titolo risarcitorio di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, e comunque in misura non inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre alla regolarizzazione contributiva e previdenziale, con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici Istat dalla mora al saldo.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla scorta dei parametri di cui al DM 147/2022, valori medi ogni fase.
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