Smart working, un passo avanti e due indietro
Dopo più due anni di regime semplificato, dal primo settembre si torna alla normalità, spostando le lancette a 30 mesi fa: per usufruire del lavoro agile bisogna sottoscrivere un accordo individuale con l’azienda. A meno
Dopo più di due anni di pandemia e di regime semplificato, finito ogni genere di emergenza e di proroghe, per lo smart working si torna alla normalità, cioè alle modalità previste prima dello scoppio del Covid 19: dal primo settembre è nuovamente obbligatorio sottoscrivere un accordo individuale con l’azienda, procedura che certo non promuove la misura ma che tutela il lavoratore dal potere direttivo dell’impresa. Allo stesso tempo dal primo agosto è scaduta la tutela normativa per i fragili e per i genitori di figli minori di 14 anni, che devono quindi rientrare in presenza, a meno di ripensamenti in fase di conversione in parlamento del decreto Aiuti bis.
Le regole generali fissate dalla legge 81 del 2017 valgono per tutti, tranne che per quanti nel frattempo hanno contrattato il lavoro agile con l’intervento delle rappresentanze sindacali. Stiamo parlando di circa due milioni e mezzo, tre milioni di lavoratori, tra quelli inclusi nei contratti collettivi nazionali che in fase di rinnovo hanno regolato lo smart working e coloro che ne possono usufruire grazie ad accordi aziendali ad hoc, grandi gruppi come singole imprese: dal tessile alle industrie cartiere, dall’alimentare alle Poste, da Autostrade a Zurich fino a Snam, Tim, Furla, solo per citarne alcuni.
“Negli ultimi due anni abbiamo avuto un notevole impulso al lavoro agile attraverso l’azione della contrattazione collettiva – spiega Nicola Marongiu, della Cgil nazionale -: oltre 250 accordi aziendali e 25 ccnl del settore privato e pubblico lo hanno regolato. Anche gli ultimi, elettricità, energia, petrolio, credito, riscossione, funzioni centrali, enti locali. Tutto questo lascia presagire che non sarà una modalità del tutto abbandonata ma verrà utilizzata nell’ambito delle imprese e dei settori che si sono dotati di strumenti contrattuali”.
Per tutti gli altri restano in vigore le norme precedenti. Gli spazi si stringono, si riduce il numero dei profili ammessi, e si fanno più complicati i passaggi burocratici. Rimane invece il regime semplificato delle comunicazioni al ministero del Lavoro: le aziende non dovranno trasmettere le singole intese una per una, ma solo l’elenco dei dipendenti che hanno firmato l’accordo. Le intese devono essere scritte e regolare i tempi di riposo, oltre alle misure per assicurare la disconnessione, possono recepire le norme di un regolamento aziendale unilaterale o di un accordo tra impresa e sindacato.
E cioè: alternanza tra lavoro in presenza e da remoto, con un numero di giornate nel mese o nell’anno preventivamente individuate, possibilità di fare attività a distanza, come riunioni o formazione, anche per chi per le prestazioni che svolge non può ricorrere allo smart, definizione delle fasce di operabilità, il famoso discorso del diritto alla disconnessione, il tema della strumentazione e dell’accesso a benefit come i buoni pasto.
“Il ritorno all’accordo individuale e alla volontarietà per l’accesso a quella tipologia di prestazione è essenziale, perché molte aziende non si sono strutturate con adeguati modelli organizzativi – riprende Marongiu -. L’altro aspetto da considerare è anche la tipologia di imprese che abbiamo nella nostra realtà, piccole e medie. Per garantire lo smart working ci vogliono investimenti anche di carattere organizzativo che però molte aziende non hanno fatto. Prima dell’emergenza questo strumento era utilizzato pochissimo, poi c’è stato il boom dovuto alle misure emergenziali, per ritornare adesso a una fase di normalità, in cui una quota parte di imprese continuerà a operare con il ricorso al lavoro agile”.
In base a quanto emerso dalla terza edizione dell’indagine “Diario della giornata e attività ai tempi del coronavirus”, le riferisce più di un lavoratore su due: problemi di connessione a Internet e difficoltà di concentrazione sono stati riferirti da più di uno su quattro, mentre una percentuale di poco inferiore ha lamentato carenze di dotazione tecnologica, di spazi adeguati in casa e di sovrapposizione tra lavoro e attività personali e familiari.
“Come sindacato abbiamo premuto affinché la contrattazione fosse lo strumento principe di regolazione dello smart working – conclude Scacchetti -. Qui non stiamo parlando solo di lavoro da remoto, ma di un cambiamento dei modelli organizzativi, più centrati sul lavoro per obiettivi, di una diversa modalità di relazione tra lavoratore e azienda, maggiormente incline alla partecipazione, di una reale opportunità perché permette di ragionare su tanti aspetti, compresi la sostenibilità ambientale e sociale. Ma per attuarli, bisogna fare investimenti, spesso di carattere tecnologico, le aziende devono dotarsi di nuovi sistemi. Tutto questo può essere fatto attraverso la contrattazione e non con una norma. Se la contrattazione saprà espandersi, anche il dettato legislativo saprà adeguarsi”.
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Note: Ad oggi lo smart working in Italia, sia per il settore pubblico che per quello privato, è disciplinato dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81 art. 18 e art. 19