MILANO – Quelli coi capelli bianchi sono la maggioranza fra i malati di tumore ma il meglio delle cure e della ricerca pare non essere per loro. Gli anziani troppo spesso sono tagliati fuori dalle terapie più avanzate e dai protocolli sperimentali, senza valide ragioni mediche, ma solo in base all’età.
«DISCRIMINATI» – C’è un farmaco che ribalta le prospettive di sopravvivenza? Non per loro. Tutti i quarantenni lo ricevono, per gli anziani è un’eccezione. La speranza di vita raddoppia? Non per loro, che restano fermi alle statistiche di trent’anni fa. Ai danni dei malati ultrasessantenni si sta consumando quella che un gruppo agguerrito di oncologi non esita a definire «una discriminazione grave e inaccettabile». L’allarme è stato lanciato in occasione del Congresso dell’European Haematology Association (Eha) tenutosi a Barcellona, e la rivista a libero accesso Ecancermedicalscience, fondata dall’Istituto europeo di oncologia di Milano, ha dato il via a una campagna di sensibilizzazione che coinvolge medici, pazienti e associazioni.
I «NONNI» RESTANO INDIETRO – Proprio dalle malattie oncoematologiche emergono i contrasti più stridenti, come ha spiegato Mario Boccadoro, direttore del Dipartimento di oncologia e ematologia dell’ospedale San Giovanni Battista di Torino: «Negli ultimi dieci anni la sopravvivenza dei malati di mieloma multiplo è raddoppiata, ma se si considerano soltanto i pazienti ultrasettantenni non si nota alcun vantaggio rispetto al passato. C’è una disparità di trattamento, la comunità medica resta attaccata a vecchi schemi di cura, ricorrendo raramente ai nuovi farmaci già in commercio, come bortezomib, talidomide e lenalidomide, molto efficaci e molto meno tossici della vecchia chemioterapia».
FARMACO SALVAVITA? AI 40ENNI – Ancora più sconvolgenti i dati raccolti dalla European cancer patients coalition, che rappresenta 300 organizzazioni di pazienti in 42 Paesi. L’esempio è quello della leucemia mieloide cronica, una patologia che viene diagnosticata in genere in età avanzata, e la cui storia è stata rivoluzionata dall’avvento di un medicinale, l’imatinib (o Glivec), il primo vero farmaco «intelligente». «Quindici anni fa solo 30 malati su cento erano ancora vivi a otto anni dalla diagnosi, oggi sono 93 su cento» segnala Jan Geissler, direttore di Ecpc e caso raro di paziente a cui la leucemia mieloide è stata diagnosticata a 28 anni. Secondo i dati raccolti da Ecpc, l’imatinib, «gold standard» per questa forma di leucemia, è somministrato a quasi tutti i quarantenni (il 93 per cento delle donne e l’81 per cento degli uomini) e a meno della metà dei malati fra i 70 e gli 80 anni (48 per cento delle donne e 44 per cento degli uomini).
RICERCA DISTRATTA, MEDICI IMPREPARATI – «Perché? – si domanda Geissler – Abbiamo bisogno di capire le ragioni di un tale abisso. L’età e le malattie concomitanti non sono un motivo valido. Facciamo altre ipotesi». Primo: gli anziani sono i grandi assenti nelle sperimentazioni sui farmaci. Racconta Geissler: «All’ultimo congresso Asco (il principale appuntamento internazionale di oncologia, ndr) sono stat