‘Curare i pazienti è economicamente sostenibile?’, si chiede Goldman Sachs
Un’analisi del colosso di Wall Street accende i riflettori sulla ‘scarsa redditività’ dei farmaci più efficaci.
L’Indro – 9 maggio 2018 – di Giacomo Gabellini
Lo scorso aprile, Goldman Sachs ha reso disponibile per i suoi clienti un rapporto intitolato ‘Genome revolution’ in cui si sollevava la questione se guarire i pazienti rappresenti un modello economico sostenibile. Nello specifico, il documento a firma dell’analista Salveen Richter richiama l’attenzione sul rapporto costi-benefici di alcuni farmaci particolarmente efficaci, la cui capacità di garantire una pronta e relativamente rapida guarigione dei pazienti costituisce un serio problema di business per le case farmaceutiche che li producono. «Il potenziale delle cure ‘one shot’ – si legge all’interno del rapporto – è uno dei risvolti più interessanti e promettenti della terapia basata sullo studio e sull’alterazione cellulare a livello genetico, ma questo genere di trattamenti divengono un problema se considerati una prospettiva economica perché assicurano entrate di gran lunga minori rispetto a quelle garantite dalle terapie croniche […]. Sebbene la terapia generica ricopra un valore inestimabile per i pazienti e la società, essa rappresenta comunque una sfida per gli sviluppatori di farmaci genomici alla ricerca di un flusso di cassa costante».
Per fornire un esempio dell’impatto finanziario che terapie ad elevata efficacia possono sortire sul monte dei profitti, l’analisi di Goldman Sachs cita il caso della casa farmaceutica Gilead Sciences, che tre anni fa ha commercializzato un farmaco per curare l’epatite di tipo C. Si tratta di una malattia infettiva che il medicinale è in grado non solo di debellare piuttosto rapidamente riportando in salute il paziente, ma anche di ridurre il numero di portatori sani in grado di trasmettere il virus ad altri individui. L’interruzione della catena dei contagi si è rivelata un grosso problema per Gilead Sciences, che ha visto le vendite del medicinale sviluppato per curare l’epatite di tipo C passare da 12,5 miliardi di dollari nel 2015 ai 4 miliardi scarsi stimati per la fine del 2018. Tutto a causa del notevolissimo tasso di guarigione – prossimo al 90% – garantito dal farmaco.
A detta di Goldman Sachs, le case farmaceutiche dovrebbero fronteggiare il problema finanziario sorto con le cure ‘one shot’ evitando in primo luogo di investire nella ricerca di cure per malattie rare che, non garantendo un numero sufficientemente elevato di malati, sono giocoforza incapaci di garantire un ritorno economico adeguato. Occorre quindi focalizzarsi su patologie a larga diffusione quali l’emofilia (un mercato da 10 miliardi di dollari che registra peraltro una crescita del 6-7% all’anno) e sviluppare cure ‘one shot’ a una rapidità tale da «compensare la traiettoria dei ricavi in declino delle attività precedenti».
Ma al di là delle ‘soluzioni’ proposte, l’analisi del colosso di Wall Street ha l’indubbio merito di evidenziare come il modello capitalistico e la logica che lo sorregge risultino del tutto incompatibili con la necessità di garantire all’umanità cure efficaci alle migliaia di patologie che l’affliggono. La ricerca del profitto rappresenta un ostacolo formidabile non solo per la raccolta e l’investimento di fondi a beneficio della ricerca di trattamenti sanitari utili a guarire malattie rare, ma anche per la messa a punto di medicinali che garantiscano al paziente una rapida guarigione associata al minor numero di sofferenze possibili. In tali condizioni, solo lo Stato può farsi carico di finanziare la ricerca scientifica finalizzata al bene comune con stanziamenti di denaro pubblico da raccogliere mediante un’elevata tassazione dei profitti privati. Il primato dell’interesse pubblico nel delicatissimo ambito della sanità potrebbe essere sostenuto dalle autorità statali delle varie nazioni del mondo per promuovere un accordo internazionale in grado di garantire a ciascun Paese firmatario che investa una determinata frazione del proprio Pil nella ricerca farmaceutica la possibilità di aggirare il sistema dei brevetti e fruire liberamente delle innovazioni tecnologiche applicate al comparto della sanità sviluppate da tutti gli altri sottoscrittori.