di Michele Bocci e Fabio Tonacci
ROMA. L’uomo con la valigetta cerca le «penne». I timorosi, i poco autorevoli, i moralisti, i «novellini» senza pazienti non gli interessano: con loro si spreca tempo. Le «penne», invece, fanno fare i soldi alla sua ditta. Così vengono chiamati i medici con l’attitudine a firmare molte ricette e ad accettare molti regali. Senza di loro, i farmaci non si vendono, o si vendono meno, e questo non fa bene al bilancio, è un’insopportabile crepa nella logica del profitto inseguita dai venditori di salute.
«La regola dell’11!» urla Isabella Ferrari, che nel film Il venditore di medicine di Antonio Morabito veste i panni di una spietata dirigente di un’azienda farmaceutica del Nord Italia: c’è da piazzare una nuova pillola, che di nuovo non ha niente, essendo esattamente come la vecchia con qualche eccipiente in più. «La regola dell’11» dunque. Vuol dire che ogni regalo che esce dalla valigetta dell’informatore scientifico – un iPad, un telefonino, un invito a un convegno che casualmente si svolge a Saint-Tropez in piena estate, anche un’auto, se la «penna» è uno stimato primario d’ospedale – deve fruttare almeno undici volte tanto. In ricette prescritte e vendute nelle farmacie a carico dei pazienti o dello Stato. Questione di matematica. Che diventa un’ossessione per chi quel risultato deve raggiungerlo.
Nel film di Morabito, in sala dal 30 aprile, uno stressatissimo Claudio Santamaria, che nella sua «microarea», cioè nel territorio a lui affidato, salta da un medico all’altro, stringendo mani e amicizie, corrompendo, oliando il sistema, frugando nei computer dei farmacisti per verificare le vendite della pasticca «nuova ma vecchia».
Abbiamo visto il lungometraggio, presentato al Festival internazionale del film di Roma, con un dirigente di una delle più grandi aziende farmaceutiche d’Italia. Una di quelle che compongono il potente universo di Big Pharma. «È tutto vero» dice, con la garanzia dell’anonimato. «Esistono delle divisioni interne che si occupano solo di quello, di segmentare i 47 mila medici di famiglia». Segmentare? «Schedare» precisa.