Tamponi rapidi in parafarmacia, la decisione della Consulta
La legge per tutti – 8 luglio 2022 – di Giordana Liliana Monti
Parafarmacie sì, parafarmacie no: il valzer sui poteri a loro concessi, dopo oltre due anni di pandemia, ha forse finalmente trovato il passo conclusivo che attendeva da tempo. Dopo i mesi in cui per farsi un tampone si aspettava fuori dalle strutture autorizzate anche lunghe ore (ricordiamoci dello scempio di questo inverno), la richiesta era che anche le parafarmacie – al cui interno lavora necessariamente almeno un farmacista – potessero effettuare questi test semplicissimi (tanto semplici che persino i comuni cittadini possono farseli in autonomia per scoprire se sono positivi al Covid). Ora, finalmente, la Consulta si è espressa, e la risposta è stata un fragoroso no. Una decisione legata non tanto alla difficoltà nell’eseguire un tampone – che è, per l’appunto, praticamente nulla – ma alla possibilità delle parafarmacie di trattare i dati sensibili raccolti tramite i test.
Inoltre, secondo quanto affermato oggi dai giudici costituzionali, la decisione di consentire soltanto alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, di effettuare tamponi rapidi antigenici e test sierologici rientra nella sfera della discrezionalità legislativa e non è una scelta irragionevole. La Corte ha per questo ritenuto non fondate le questioni sollevate dal Tar Marche sull’articolo 1, commi 418 e 419, della legge n. 178 del 2020, con riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione.
La Consulta ha spiegato che, nonostante in entrambe debba essere assicurata la presenza di farmacisti abilitati, tra le parafarmacie − che sono esercizi commerciali − e le farmacie − che rientrano nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale − permangono significative differenze, che impediscono di affermare di essere davanti a identiche situazioni giuridiche, meritevoli di un medesimo trattamento normativo.
Per fronteggiare la diffusione del Covid-19, è stato necessario erogare sull’intero territorio nazionale nuovi servizi sanitari: la scelta di affidarli alle farmacie, e non anche alle parafarmacie, è fondata sull’inserimento delle farmacie nell’organizzazione del Ssn e quindi sulla loro abilitazione a trattare i dati sensibili raccolti e trasmetterli alle autorità sanitarie, attraverso i sistemi informativi e telematici già in uso. Una scelta che la Corte Costituzionale ha ritenuto ragionevole e condivisibile.
Sent. 171/2022 – Pres. AMATO, Rel. PATRONI GRIFFI
Comunicato Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale
N.d.R.: La sentenza della Corte Costituzionale ci fa nascere un dubbio. Un medico specialista che svolge la sua professione privatamente, che quindi non fa parte del SSN, svolge un’attività commerciale?
Nota:
Alcuni numeri
L’Ocse stesso privilegia nelle proprie analisi il numero dei farmacisti praticanti, quelli che effettivamente svolgono la professione che sono circa 75mila (su 99.084 qualificati farmacisti, dati del 2020). Molti laureati in farmacia o CTF lavorano come ISF.
La quantità di farmacie in Italia è di 19.331; una ogni 3.129 abitanti. Le farmacie private sono 17.565. Il numero di para-farmacie è 6.584, ma quelle effettivamente operanti sarebbero a fine 2021 circa 4.110.
Per capire lo stipendio di un farmacista titolare in Italia si deve guardare ai dati sugli Isa (Indici sintetici di affidabilità), ovvero agli ex studi di settore.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, che li raccoglie, in media il fatturato di una farmacia è di un milione e 161mila euro, e il reddito d’impresa è di 127.400. Naturalmente questi numeri possono variare molto in base alla collocazione e alle scelte imprenditoriali che vengono fatte, ma questo vuol dire che un titolare, in base a quanto voglia trattenere per sé dell’utile realizzato, può avere uno stipendio anche di 10mila euro al mese dopo le tasse.
I farmacisti dipendenti inquadrati al primo livello, quello in cui di solito sono inseriti i farmacisti collaboratori, prendono, con il nuovo Ccnl farmaceutico, 1.996,97 euro lordi al mese, contro i 1.836 di chi, invece, è occupato in una farmacia privata rurale e i 1.889,97 di quelli impiegati in una farmacia urbana. I contratti nazionali infatti distinguono, nel caso dei dipendenti privati, in base alla collocazione geografica, privilegiando coloro che lavorano in attività poste in città. Ovviamente non parliamo dei farmacisti assunti come precari.
Naturalmente la remunerazione cresce, poi, in base all’anzianità e alla contrattazione secondaria. In base alle segnalazioni sui siti che si occupano di salari a metà carriera mediamente si percepiscono 1.560 euro netti al mese, che salgono a 1.600 dopo 10-20 anni di lavoro, e a 1.830 prima di andare in pensione. Chiaramente si tratta di dati che si riferiscono a quanti lavorano come farmacisti full time, e che quindi prendono più di quanto invece guadagna un farmacista part time. Il quale, tuttavia, riceve, con la metà delle ore, un po’ più della metà dello stipendio del collega a tempo pieno, secondo il Ccnl chimico farmaceutico. (Fonte OCSE).
I distributori farmaceutici fanno accordi con intermediari che poi vendono i test a un prezzo compreso tra i 2,5 e i 3 euro. Quindi, come passaggio successivo, diciamo che le farmacie, a seconda del tipo di tampone, spendono 3,5-4 euro a tampone. Lo scarto è il compenso dei distributori. Il Giorno riporta che il costo del lavoro del farmacista è stimato in circa 5 euro per 10 minuti di assistenza al paziente portando la spesa attorno ai 10 euro a tampone. il margine netto, è quindi di 5 euro a prestazione. A questi vanno aggiunti costi sommersi come i guanti, la mascherina e i camici monouso per circa 2 euro.
Inoltre è stata introdotta dal Ccnl una remunerazione aggiuntiva di non meno di 2 euro lordi per ogni vaccinazione anti-Covid effettuata, o, in alternativa, un assegno forfettario da 200 euro all’anno per coloro impegnati nella campagna vaccinale.
È stato introdotto anche un incremento delle prestazioni di sanità integrativa a favore dei dipendenti, per un valore di 13 euro lordi mensili. (Fonte Money)
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