Con i suoi 222 casi confermati (ad oggi), l’Italia è il terzo paese al mondo per numero di contagi da Coronavirus.
I contagiati italiani sono circoscritti al momento nelle seguenti regioni: Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Liguria dove le autorità hanno deciso di mettere in campo misure straordinarie per contenere il rischio di ulteriori casi.
È pertanto acclarata e documentata l’emergenza sanitaria ed il rischio biologico per gli ISF che operano in quelle regioni e non solo per sé stessi ma anche perché possono diventare soggetti contaminanti, mettendo così a rischio la salute pubblica.
Ci giunge notizia che c’è qualche azienda che, nonostante le ordinanze e i divieti, costringe gli ISF a frequentare ambulatori ed ospedali.
Uno dei principali obblighi messi a carico dell’azienda dalla legge [Art. 2087 cod. civ.] è, infatti, l’obbligo di sicurezza.
L’obbligo di sicurezza del datore di lavoro ricomprende il dovere dell’azienda di mettere in campo tutte le misure che, sulla base della scienza e della tecnica, nonché dei rischi specifici propri del tipo di lavoro (come gli ISF) che si svolge in azienda o fuori, sono necessarie o quantomeno consigliabili per poter ridurre al minimo il rischio che i dipendenti si ammalino sul posto di lavoro o subiscano incidenti o qualsiasi altro evento che possa mettere a rischio la loro sicurezza.
Si tratta di un obbligo che è parte integrante del contratto di lavoro e, dunque, l’azienda che non dovesse fare tutto ciò che può per tutelare il dipendente sarebbe inadempiente.
Il testo unico delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro fissa, innanzitutto, le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro che ogni azienda deve rispettare.
Tali misure sono:
la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;
la programmazione della prevenzione;
l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, fra l’altro: la riduzione dei rischi alla fonte, il controllo sanitario dei lavoratori; l’allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e eventualmente adibirlo, ove possibile, ad altra mansione; ecc.
La legge precisa, poi, che le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare costi per i lavoratori. Sarebbe, dunque, illegittimo far pagare di tasca propria ai dipendenti i corsi sulla sicurezza.
Il datore di lavoro è inoltre obbligato a: fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato; prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione (come la diffusione di una patologia virale) o deteriorare l’ambiente esterno.
La violazione di singoli obblighi previsti dal testo unico espone l’azienda al rischio di sanzioni. Inoltre, se si verifica un infortunio o una malattia professionale e si dimostra che l’azienda non è in regola con la sicurezza, il datore di lavoro rischia:
- una condanna penale per omicidio colposo o per lesioni, a seconda che l’infortunio o la malattia professionali siano mortali o meno;
- una condanna per risarcimento del danno al dipendente, che sarà pari alla differenza tra il danno complessivamente subito e la quota già indennizzata dall’Inail.
Inoltre il diritto alla salute è un diritto soggettivo assoluto. A presidio del rispetto di tale obbligo vi sono anche norme penali, contenute nel codice penale (artt. 437, 451 c.p.) ed in numerose leggi speciali.
I comportamenti incoscienti vanno sanzionati
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