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Cittadinanzattiva. Emergenza sanità: Appello per un vero rilancio del nostro SSN dopo anni di tagli

La spesa sanitaria nel 2024 scenderà del 2,4% rispetto all'anno in corso e, in rapporto al Pil, affonderà al 6,2% a partire dal 2025

Emergenza sanitàCittadinanzattiva ha pubblicato il rapporto PiT Salute 2023 (Progetto integrato di Tutela). Il Rapporto si riferisce alle segnalazioni giunte a Cittadinanzattiva nel 2022. Ne pubblichiamo uno stralcio, rimandando gli interessati alla lettura integrale del rapporto reperibile ai link indicati sotto. La parte riguardante la farmaceutica è riportata integralmente.


Negli ultimi anni sono state approvate norme che disegnano una sanità accogliente e partecipata, sostenuta da servizi territoriali progettati insieme agli utenti, ai professionisti e alle comunità, rimaste finora inattuate, aumentando lo spazio dei privati. E’ ora di rilanciare la sanità pubblica mettendo subito in atto i percorsi già indicati.

Per questo abbiamo abbiamo deciso di dare vita ad una giornata di mobilitazione nazionale e territoriale dal titolo “Urgenza sanità”,svolta nella giornata di giovedì  11 maggio a Roma, per lanciare un appello affinché ci sia un vero rilancio del nostro SSN dopo anni di tagli e di contrazione dell’offerta, in termini di prevenzione e di servizi, per i cittadini”.

La giornata si è aperta con la presentazione del Rapporto Civico di Cittadinanzattiva sulla Salute 2023 presso il Ministero della Salute.

Il rapporto, per il secondo anno consecutivo, si presenta in una nuova veste e fornisce una fotografia della sanità vista dai cittadini, unendo due analisi: una realizzata a partire dalle segnalazioni giunte, nel corso del 2022, al servizio PiT Salute e alle 330 sezioni territoriali del Tribunale per i Diritti del Malato (14.272 segnalazioni); l’altra finalizzata ad esaminare, da un punto di vista civico, il federalismo sanitario con l’intento di coglierne la complessità, l’articolazione organizzativa, la capacità di amministrare e fornire risposte in termini di servizi e assistenza sanitaria ai cittadini.

Terminata l’emergenza pandemica, i cittadini si trovano a fare i conti più di prima con le conseguenze di scelte improvvide che durano da decenni: lunghissime liste di attesa, pronto soccorso allo stremo, medici di medicina generale assenti in molte aree non per nulla definite “deserti sanitari”. Il ricorso alla spesa privata aumenta ed è incompatibile con un sistema universalistico, oltre a essere possibile solo se le condizioni economiche dei singoli lo permettano. Per molte cittadine e molti cittadini l’attesa si è trasformata in rinuncia.

Oggetto delle segnalazioni del 2022: sintesi dei principali risultati.

Nel 2022 al primo posto per numero di segnalazioni da parte dei cittadini è l’accesso alle prestazioni (29,6%), al secondo l’assistenza ospedaliera (15,8%), al terzo la prevenzione (15,2%), al quarto le cure primarie e l’assistenza sanitaria di prossimità (14,8%), intesa come assistenza territoriale, e al quinto posto la sicurezza delle cure (8,5%). Seguono le segnalazioni su accesso alle informazioni e documentazioni (4,5%), assistenza previdenziale (2,8%), umanizzazione e relazione con operatori sanitari (2,6%), spesa privata e ticket elevati (1,7%) e assistenza protesica e integrativa (1,4%).

Oltre alle liste d’attesa, i cittadini hanno segnalato altre difficoltà di accesso alle prestazioni che denotano una grande difficoltà e barriere d’accesso al servizio già dalla fase di prenotazione di una visita, ad esempio la difficoltà di contattare il Cup o programmare visite, l’impossibilità di prenotare per liste bloccate o i tempi d’attesa troppo lunghi per contattare telefonicamente il Cup. In merito all’intramoenia, i cittadini lamentano principalmente il fatto di essere stati indirizzati dagli stessi operatori del Cup verso una visita in regime di intramoenia o privata.

Accesso alle prestazioni (29,6%)

L’accesso alle prestazioni è risultato l’ambito più critico per i cittadini che nel 2022 si sono rivolti a Cittadinanzattiva.

In questo ambito i temi specifici riguardano: le liste d’attesa (49,5%), le difficoltà di accesso alle prestazioni (43,5%), l’intramoenia (6,9%).

Le lunghe liste d’attesa da anni ormai rappresentano un elemento di enorme disagio e stress per i cittadini; nel corso degli ultimi tre anni (2020-2023) è esploso in maniera incontenibile a causa di tutti i ritardi ulteriori dovuti all’emergenza da covid che si sono sommati alle “disfunzioni” già presenti nella gestione delle liste d’attesa e all’incapacità di programmare misure per garantire il rispetto dei tempi nell’accesso alle cure. Il 2022 doveva essere l’anno della ripresa e anche del recupero dei ritardi sulle liste d’attesa dopo due anni di pandemia, invece, la tanto auspicata “ripartenza” non c’è stata e i cittadini si sono visti negare un diritto fondamentale: accedere gratuitamente e nei tempi giusti alle prestazioni sanitarie che devono essere garantite dal nostro SSN.

Assistenza farmaceutica (0,6%)

Le maggiori criticità segnalate in questo ambito si riferiscono a: farmaci non disponibili nella Farmacia Ospedaliera/Territoriale (23,9%), difficoltà nel rilascio/rinnovo del piano terapeutico (23,9%), ritardi nella erogazione dei farmaci ospedalieri (11,9%).

L’indisponibilità di un farmaco può riferirsi sia all’assenza del farmaco nei punti di erogazione (farmacia ospedaliera, dell’ASL e di comunità) con la conseguenza di determinare l’impossibilità per il cittadino di accedere alla terapia; oppure alla irreperibilità momentanea a causa del ritardo nella consegna del medicinale. In entrambi i casi ne deriva un grave disagio per i cittadini che hanno segnalato, nei casi più estremi, di aver dovuto interrompere le terapie che stanno seguendo.

8. Accesso ai farmaci

La spesa farmaceutica

La spesa farmaceutica nazionale totale (pubblica e privata) è cresciuta rispetto all’anno precedente del 3,5%, raggiungendo 32,2 miliardi di euro (30,5 miliardi nel 2020), e incide per l’1,9% sul Prodotto Interno Lordo (PIL). La spesa pubblica lorda, con un valore di 22,3 miliardi di euro, rappresenta il 69,2% della spesa farmaceutica complessiva e il 17,4% della spesa sanitaria pubblica, in lieve aumento rispetto al 2020 (+2,6%). Nel 2021 la spesa farmaceutica territoriale complessiva, pubblica e privata raggiunge i 21,2 miliardi di euro, in aumento del 3,2% rispetto al 2020. La spesa privata a carico del cittadino risulta pari a 9,2 miliardi di euro, in aumento del 6,3% rispetto al 2020.

Compartecipazione farmaci

La quota di compartecipazione a carico del cittadino è comprensiva del ticket regionale e della differenza di prezzo tra farmaco a brevetto scaduto/brand (originator) e farmaco equivalente. Si raggiungono 1.481 milioni di euro, in lievissima diminuzione rispetto al 2020 (-0,4%), ciò dovuto alla riduzione del ticket fisso (-2,7%). La spesa per compartecipazione per la quota eccedente il prezzo di riferimento dei farmaci a brevetto scaduto, nel 2021, risulta di 18,3 euro pro capite (circa 1,1 miliardi di euro), rappresentando il 73% della compartecipazione totale del cittadino (inclusiva anche del ticket per ricetta e/o confezione) e registra un aumento dello 0,4% rispetto all’anno precedente. In pratica, ogni cittadino spende di tasca propria, per la quota eccedente il prezzo di riferimento dei farmaci a brevetto scaduto € 18,03 euro.

La spesa pro capite per compartecipazione più elevata si registra al Sud e nelle Isole e ammonta a 23,8 euro (con una variazione del +30,2% rispetto alla media), mentre livelli minori di spesa si riscontrano al Nord con 13,6 euro (-25,7% rispetto alla media); al Centro la spesa pro capite ammonta a 20,2 euro.

A livello regionale, Calabria (25,2 euro), Campania (25,1 euro) e Lazio (25,0 euro) sono le Regioni con i valori di spesa più elevati; di contro, le PA di Bolzano (11,8 euro) e di Trento (12,7 euro) e la Valle d’Aosta (12,9 euro) sono quelle con i valori più bassi.

Farmaci a brevetto scaduto e equivalenti

Nel 2021, i farmaci a brevetto scaduto hanno costituito il 69,8% della spesa totale (67,6% della spesa nel 2020) e l’86,0% dei consumi (84,8% nel 2020) in regime di assistenza convenzionata di classe A. La quota percentuale dei farmaci equivalenti, ovvero quei medicinali a base di principi attivi con brevetto scaduto, ad esclusione di quelli che hanno goduto di copertura brevettuale, hanno rappresentato il 21% della spesa (20,5% nel 2020) e il 29,6% dei consumi (30,7% nel 2020). Si osserva anche nel 2021 il trend in crescita della spesa, seppur lievissimo. Quanto ai consumi di farmaci equivalenti nel 2021, rimane stabile la percentuale di utilizzo pari al 34,4% rispetto al 34,7% del 2020. Le Regioni del Nord consumano una percentuale maggiore di equivalenti (43,8%), rispetto a quelle del Centro (32,4%) e del Sud (24,3%). Infatti il valore maggiore si è registrato nella PA di Trento (48,8%), mentre quello più basso in Basilicata (20,8%). Nel periodo gennaio-dicembre 2021 l’utilizzo dei farmaci equivalenti continua ad essere privilegiato nelle regioni del Nord del Paese (38,2% a unità e 37,7% a valori), rispetto al Centro (27,2% a unità e 23,5% a valori) e al Sud (22,5% a unità e 19,2% a valori), a fronte di una media Italia del 30,5% a confezioni e del 25,3% a valori.

Spesa e consumi di farmaci oncologici

La spesa pro-capite per i farmaci oncologici è quasi raddoppiata negli ultimi 8 anni (+96%): si passa da 34,8 euro del 2014 a 68,2 del 2021 (per ogni anno l’andamento medio cresce del 10,1%). Al contempo, sul fronte dei consumi l’incremento medio annuo è del 2,4%, registrando un valore pari a 10,3 DDD/1000 abitanti die, nel 2021. Se teniamo conto del valore medio nazionale (68,23 euro pro capite), la spesa pro capite risulta più alta al Centro (73,30 euro), rispetto alle regioni del Sud (70,65 euro) e del Nord (64,38 euro). Tutte le regioni, ad eccezione di Sardegna e Basilicata, registrano nel 2021 un aumento della spesa pro capite rispetto all’anno precedente. La regione Marche presenta i consumi maggiori (11,8 DDD/1000 abitanti die), seguita dalla Sardegna (11 DDD/1000 abitanti die). L’Emilia Romagna presenta l’incremento più elevato dei consumi rispetto all’anno precedente (+11,4%). Il costo medio per DDD per questa categoria di farmaci nel 2021 è stato pari a 18,08 euro, in aumento del 3,8% rispetto all’anno precedente; gli aumenti maggiori si osservano nella Valle d’Aosta (+32,8%) e nel Lazio (+11%). Gli anticorpi monoclonali sono i farmaci che incidono maggiormente sulla spesa: al primo posto, gli inibitori del checkpoint immunitario pari a 12,33 euro, con un incremento di spesa (+21,6%) e di consumo (+33,8%).

Accesso ai Fondi farmaci innovativi

Il Fondo per i farmaci innovativi, di fatto, ha unificato i precedenti Fondi separati (Fondo farmaci innovativi oncologici pari a 500 milioni di euro e Fondo farmaci innovativi non oncologici pari a 500 milioni di euro), istituiti con la Legge di Bilancio 2017 (art. 1, commi 401-406, della Legge 232/2016), a valere sul livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale cui concorre lo Stato. Per il 2021 le risorse stanziate ammontano a 1 miliardo di euro annui cui concorrono le regioni che hanno acquistato tali farmaci. A partire dal 2022 le risorse per l’acquisto al rimborso dei farmaci innovativi sono incrementate rispettivamente di 100 milioni (2022), 200 milioni (2023) e 300 milioni a decorrere dall’anno 2024. La spesa per i medicinali innovativi non oncologici è pari a 213,7 milioni di euro, mentre la spesa per i farmaci innovativi oncologici è pari a 499,6 milioni di euro. Si fa riferimento, quindi, ai farmaci innovativi inseriti nel Fondo, al netto dei Pay Back. La Lombardia e la Campania sono le Regioni in cui si registra la maggiore spesa per i farmaci innovativi non oncologici e per quelli innovativi oncologici Lombardia, Lazio e Veneto.

Tetti di Spesa Regionali

La Legge di Bilancio 2022 (L. n. 234/2021) ha rideterminato il tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti nella misura dell’8% per l’anno 2022 (rispetto al 7,65%), dell’8,15% per l’anno 2023 e dell’8,30 % a decorrere dall’anno 2024. Resta fermo il valore percentuale del tetto per acquisti diretti di gas medicinali (0,20%). Invariato il limite della spesa farmaceutica convenzionata nel valore del 7%. Conseguentemente il tetto complessivo della spesa farmaceutica è rideterminato nel 15,20% per cento per l’anno 2022 (oggi è il 14,85%), nel 15,35% nell’anno 2023 e nel 15,50% a decorrere dall’anno 2024. Anche nel 2021 il tetto di spesa per gli acquisti diretti viene superato da tutte le regioni, ad eccezione della Lombardia e Valle d’Aosta.

Distribuzione dei farmaci

Nel 2021 la spesa pro-capite per i farmaci dispensati attraverso la distribuzione diretta (DD) e in nome e per conto (DPC) di fascia A, H e C ha registrato un aumento del 4,6% rispetto al 2020 (147,2 euro e 8,7 miliardi di euro. A livello nazionale la spesa della distribuzione diretta ha un’incidenza percentuale del 74,7% (spesa pro capite di 110 euro), mentre quella della distribuzione per conto è del 25,3% (37,2 euro), con una ampia variabilità regionale e andamenti molto diversi per le due differenti modalità erogative (158,7 euro al Sud, 154,3 euro al Centro e 136,2 euro al Nord).

La modalità di distribuzione diretta risulta molto presente in Emilia Romagna con percentuali di incidenza dell’87,3% (a fronte del 12,7% per quanto riguarda il canale DPC), seguita dalla Sardegna con l’81,3% (a fronte del 18,7% del canale DPC). Le percentuali minori di incidenza della distribuzione diretta risultano in PA di Trento (62,9%), Molise (60,0%) e Lazio (64,2%). La Sardegna mostra il maggior valore di spesa pro capite (154 euro), mentre la Calabria il più basso (22,6 euro). Per quanto riguarda la distribuzione per conto, invece, il Molise è la regione a registrare la maggiore spesa pro capite (60,0 euro), mentre l’Emilia Romagna la più bassa (20,4 euro). A livello nazionale, i farmaci di classe H rappresentano la principale quota di spesa nella distribuzione diretta (67,4%). I farmaci antineoplastici e immunomodulatori hanno il valore più alto di spesa pro capite (62,39 euro), tra quelli erogati in distribuzione diretta (DD) in aumento del 5,17% rispetto al 2020. I farmaci di classe A rappresentano a livello nazionale la quasi totalità dei medicinali erogati in distribuzione in nome e per conto (DPC), 37,2 euro.

Farmaci antivirali per la cura del Covid-19

Grazie a tutte le misure poste in essere a livello nazionale e globale, unitamente a una efficace campagna vaccinale, viviamo attualmente una fase endemica del virus Saer-Cov-2. In questo scenario, un ruolo importante è svolto anche dai farmaci antivirali per la cura del Covid-19. Il remdesivir (Veklury) è il primo farmaco antivirale (a somministrazione endovenosa) ad aver ottenuto l’autorizzazione condizionata dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) con decisione della Commissione europea del 3 luglio 202011. Il molnupiravir (Lagevrio), un farmaco antivirale, attualmente sospeso dall’Agenzia (a seguito del parere negativo formulato dal CHMP di EMA in data 24/02/2023 per la mancata dimostrazione di un beneficio clinico in termini di riduzione della mortalità e dei ricoveri ospedalieri), era stato inizialmente reso disponibile tramite autorizzazione alla distribuzione in emergenza ai sensi del’Art.5.2 del DL 219/2006 (Decreto Ministeriale del 26 novembre 2021 e successive proroghe).

Il nirmatrelvir/ritonavir (Paxlovid) (a somministrazione orale) ha recepito l’autorizzazione europea con la determina n.15 del 31 gennaio 2022. A partire dal 21 aprile 2022, è stata estesa la prescrivibilità anche i Medici di medicina generale, per il trattamento precoce della malattia da COVID-19.

L’AIFA periodicamente pubblica il report relativo al Monitoraggio dei farmaci Antivirali per Covid- 19 sul sito https://www.aifa.gov.it/uso-degli-antivirali-orali-per-covid-19.

Cittadinanzattiva, attraverso l’iniziativa “Raccomandazione civica. Verso un nuovo modello di accesso alle cure farmacologiche. Focus sul grado di accesso alle terapie antivirali per la cura del Covid-19”, ha condotto una indagine civica con un focus dedicato a conoscere il livello di accesso alle terapie antivirali per la cura del Covid-19, al fine di cogliere gli aspetti che, secondo l’esperienza dei professionisti e dei pazienti, possono aver inciso sulla prescrizione e utilizzo di tali terapie.

I risultati dell’indagine e le Raccomandazioni civiche sono disponibili e consultabili dal 29 maggio 2023, al seguente sitohttps://www.cittadinanzattiva.it/progetti/15456-verso-un-nuovo-modello-di-accesso-alle-cure- farmacologiche.html.

L’uso degli antibiotici in Italia e confronto europeo

Nel 2021, l’utilizzo di farmaci antibiotici (sono compresi i consumi a livello territoriale a carico del SSN e in acquisto privato e i consumi ospedalieri), ammonta a 17,1 DDD/1000 abitanti die (-3,3% rispetto al 2020 e -20% rispetto al 2019); la spesa complessiva (pubblica e privata) per gli antibiotici è pari a 787 milioni di euro corrispondenti a 13,29 euro pro capite.

Si osservano consumi più elevati di antibiotici in regime di assistenza convenzionata dispensati dalle farmacie territoriali pubbliche e private (rimborsate dal SSN), a seguito di prescrizione da parte dei Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta.

Il consumo di tali antibiotici è pari a 11,5 DDD/1000 abitanti die, in riduzione rispetto al 2020 (-4,2). I consumi maggiori si concentrano nelle regioni del Sud (15,3), rispetto al Centro (12,0) e Nord (8,7) del Paese.

Cresce invece del 6% (rispetto al 2020) il consumo di antibiotici di classe A (rimborsati dal SSN) acquistati privatamente dai cittadini (4,1 dosi ogni 1000 abitanti). Ogni cittadino italiano ha speso in media 2,25 euro per l’acquisto di antibiotici. In questo caso, sono le regioni del Centro a registrare i consumi più bassi; mentre Nord e Sud sono pressoché allineati (4,3 e 4,2). Nelle Regioni del Centro e del Sud, pur in presenza di livelli di spesa sovrapponibili a quelli del Nord, l’aumento è stato del 15,8% (+3,3% al Nord).

Il dato più basso di consumi riguarda invece gli antibiotici per uso ospedaliero acquistati dalle strutture pubbliche (1,5 DDD/1000 abitanti die), che rappresentano l’8,5% del consumo totale a carico del SSN. Per questa categoria di antibiotici si riscontra un dato più alto di consumo al Nord (1,6), e al Centro (1,5) e rispetto al Sud d’Italia (1,2).

Per quanto riguarda gli antibiotici erogati in regime di assistenza convenzionata (nel 2021 la riduzione dei consumi è stata pari al 4,2%), il Sud mostra valori più elevati di consumo (15,3) rispetto alla media nazionale (11,5); seguono le regioni del Centro (12,0) e il Nord (8,7). In particolare Campania (18,1), Puglia (15,5) e Calabria (15,4) sono le Regioni con consumi più elevati. Mentre, la PA di Bolzano (5,6), la Liguria (8,0) e il Veneto (8,0) mostrano i consumi più bassi. Le maggiori riduzioni dei consumi dal 2021 al 2020 hanno riguardato la Valle d’Aosta (-11,4%), la Lombardia (-8,4%) e l’Umbria (-8,1%). Al contrario le Regioni del Sud hanno un consumo superiore alla media nazionale del 33% rispettivamente, con la Campania che registra una spesa quasi doppia in confronto al valore nazionale (14,15 vs 7,67 euro).

Nonostante nel 2021 si sia registrata una riduzione dei consumi (-3,1%) rispetto al 2020, complessivamente i consumi in Italia si mantengono superiori a quelli di molti Paesi europei. L’Italia si pone al di sopra della media UE/SEE (15,01 DDD/1000 abitanti die), e precisamente al decimo posto, con un consumo pari a 15,99 DDD/1000 abitanti die. I Paesi con le maggiori contrazioni dei consumi rispetto al 2020 sono stati la Grecia (-17,4%) e la Germania (-9,1%) mentre la Croazia e la Slovacchia registrano gli aumenti più consistenti (rispettivamente +15,5% e +10,5%). Inoltre, l’Italia è uno dei Paesi con la minor quota di consumo degli antibiotici del gruppo “Access” (49%), considerati antibiotici di prima scelta, che secondo l’OMS dovrebbero costituire almeno il 60% dei consumi totali. Per quanto riguarda il consumo territoriale di antibiotici del gruppo Watch, l’Italia raggiunge il 52%, mentre Paesi come Islanda e Danimarca consumano rispettivamente l’11,8% e il 13,8%. Il consumo ospedaliero degli antibiotici si è ridotto, allineandosi alla media europea.


A commento la CGIL dichiara: È inutile strapparsi le vesti per le lunghe liste d’attesa o per i pronto soccorso inagibili o quasi, se non si stanziano le risorse per sbloccare la situazione. Così come va bene aumentare le borse di studio per le specializzazioni mediche, ma se non si toglie il tetto di spessa per il personale le regioni quei medici non potranno assumerli e si continua a reclutarli a gettone (nel bilancio quei compensi non compaiono come spesa per personale ma per beni e servizi) spendendo così assai di più.

“Il tema del diritto alla salute, della difesa e del rilancio del sistema sanitario nazionale è uno dei nodi centrali della mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil di queste settimane e che ha già portato a riempire le piazze di Bologna e di Milano e che sabato prossimo ci porterà in piazza a Napoli”. Lo afferma Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Confederazione di Corso d’Italia, che aggiunge: “Siamo di fronte a una situazione ormai davvero insostenibile mentre nel Def si programma la riduzione della spesa sanitaria che nel 2024 scenderà del 2,4% rispetto all’anno in corso e che, in rapporto al Pil, affonderà al 6,2% a partire dal 2025: rappresenta il valore più basso degli ultimi decenni. Se si considera che già adesso in Italia spesa per la salute è ben al di sotto della media europea e lontanissima da quella dei Paesi più avanzati come la Francia e la Germania, il quadro che emerge è davvero drammatico”.

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Redazione Fedaisf

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