di Alberto Forchielli* (Il Sole 24 Ore Radiocor) – Milano, 05 ago
Non e’ soltanto la forza dei numeri a condurre le industrie farmaceutiche verso la Cina. Il paese piu’ popoloso al mondo ha altri connotati che lo rendono appetibile: la crescita economica, la crescente urbanizzazione, la vetusta’ della popolazione, le malattie legate all’industrializzazione. La sintesi economica e’ semplice nella freddezza dei numeri: il settore cresce piu’ del Pil e dunque ne rappresenta una frazione in ascesa. In 5 anni le spese per la salute sono piu’ che raddoppiate e sono passate dal 5 al 7% del Pil. Marcano il passaggio da una societa’ contadina a una piu’ matura, dove le malattie sono diagnosticate e le cure piu’ accurate. La politica del figlio unico ha ingrigito i cittadini cinesi, che hanno bisogno di assistenza e di medicinali. Le malattie tipiche dei paesi ad alto reddito – come il diabete e il colesterolo – sono ormai ai livelli di guardia; contemporaneamente l’industrializzazione, che ha compreso la violazione dell’ambiente, ha condotto a piu’ casi di cancro e di malattie nervose. Questo panorama ha un valore economico importante, che si presta a due valutazioni contrastanti. Da una parte ci sono i valori assoluti che ormai proiettano la Cina al secondo posto al mondo nel 2020, dopo gli Stati Uniti, per spese per la salute. Dall’altra, i consumi pro-capite permangono a livelli ancora bassi, un retaggio di un passato dove la medicina tradizionale e la struttura contadina della societa’ imponevano rimedi non industrializzati. Entrambe queste valutazioni stimolano l’interesse delle aziende, sia multinazionali che cinesi. Tutte le piu’ grandi ed affermate imprese del settore hanno infatti impianti di produzione e di ricerca in Cina. La concorrenza per attirare i consumi e’ forte e le multinazionali vantano ancora una posizione inattaccabile, basata sulla qualita’ e sulla reputazione che hanno costruito tra i consumatori. Il governo sta tentando di mettere ordine nella normativa e di avviare un miglioramento settoriale, considerandolo strumentale ad un progetto piu’ ambizioso: la costruzione di un sistema sanitario gratuito alla base, efficiente, ridotto nei costi. E’ questa una delle sfide piu’ rischiose per la nuova dirigenza. L’industria cinese mostra infatti una serie di ritardi e di incongruenze. La prima e’ una costante dell’economia cinese: l’eccessiva frammentazione dei comparti. Operano nel paese quasi 4.000 produttori. Non hanno le capacita’ e le risorse finanziare per sostenere i necessari costi di R&D che preludono al lancio dei prodotti sul mercato. Sono anche eccessivi i margini di rischio nell’immaginare nuovi prodotti che possano perforare il muro dei brevetti dei giganti stranieri. Spesso dunque le aziende cinesi si ritagliano alcune nicchie di sopravvivenza, oppure cercano le facili scorciatoie della violazione della proprieta’ intellettuale. La scarsa protezione offerta nel paese non soltanto e’ lamentata dalle aziende straniere, ma impedisce anche la nascita di quelle nazionali che possano essere ripagate dei loro investimenti senza dover fallire per la ridotta tutela delle loro scoperte.