Riportiamo per informazione la sottostante interrogazione
presentato da
CHIAZZESE, D’ARRANDO, SARLI, SAPIA, LAPIA, LOREFICE, SPORTIELLO, BOLOGNA, LEDA VOLPI e NAPPI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il ticket è il contributo che il cittadino dà alla spesa sanitaria, pagando una quota specifica per alcune prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza;
attualmente i ticket riguardano: prestazioni specialistiche (visite, esami strumentali e analisi di laboratorio), prestazioni di pronto soccorso, cure termali e farmaci;
i cittadini Italiani, nella maggior parte dei casi, infatti, optano volontariamente per il farmaco brand per via della prescrizione del medico di famiglia, che in ricetta ha la facoltà di non indicare esclusivamente il principio attivo ma anche per l’appunto il farmaco brand;
nel periodo 2013-2017, a fronte di una riduzione della quota fissa da 558 milioni di euro a 498 milioni di euro (-11 per cento), la quota differenziale per acquistare il farmaco di marca è aumentata da 878 milioni di euro a 1.050 milioni di euro (+20 per cento);
dei 1.549 milioni di euro sborsati dai cittadini per il ticket sui farmaci, meno di un terzo sono relativi alla quota fissa per ricetta (498,4 milioni di euro pari a euro 8,2 pro-capite), mentre i rimanenti 1.049,6 milioni di euro (euro 17,3 pro-capite) sono imputabili alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti come documentato dall’Osce colloca il nostro Paese al penultimo posto su 27 Paesi sia per valore, sia per volume del consumo degli equivalenti;
appare dunque opportuno valutare l’introduzione di misure finalizzate a contenere l’eccessivo esborso da parte dei cittadini, come ad esempio l’obbligo di indicare in ricetta esclusivamente il principio attivo oppure un’adeguata motivazione in caso di non sostituibilità –:
se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere in relazione alle questioni evidenziate in premessa.
(3-00175)
La risposta del Ministro Grillo
«Quanto alla specifica questione sollevata relativa alla necessità di potenziare l’utilizzo dei medicinali equivalenti, al fine di un incremento consapevole del relativo utilizzo, evitando ogni inutile aggravio di spesa a carico del cittadino, segnalo che il ministero ha istituito nel mese di agosto del 2018 il Tavolo di lavoro sulla governance dei medicinali e dei dispositivi medici, che ha prodotto nell’autunno scorso il documento sulla governance dei medicinali.
Uno dei punti di forza di tale documento è rappresentato dal paragrafo relativo all’uso dei farmaci equivalenti e liste di trasparenza. Nello specifico, il documento affronta la necessità di potenziare l’informazione sui medicinali equivalenti anche al fine di un incremento consapevole del relativo utilizzo appropriato, mediante specifiche iniziative informative rivolte ai cittadini. In proposito la direzione di Aifa sta già delineando un progetto da presentare al ministero per implementare quanto proposto dal Tavolo».
Chiazzese si è quindi dichiarato «soddisfatto della risposta», ribadendo l’esigenza «di favorire il consumo di farmaci equivalenti, rispetto al quale l’Italia si trova in fondo alla classifica europea, anche al fine di contrastare il monopolio delle multinazionali del farmaco».
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N.d.R.:
Il consumo dei farmaci non coperto da brevetti in Italia è del 79,4%. Se i produttori di generici non fanno generici di tutti i farmaci a brevetto scaduto, ma rappresentano il 27,7% evidentemente non hanno la convenienza. Una pressione eccessiva sui prezzi però può creare un rischio “competizione”, ovvero di una riduzione del numero di imprese in grado di stare sul mercato e competere. Questa non è necessariamente una dinamica negativa, salvo nei casi in cui la competizione si riduca eccessivamente e porti a condizioni di oligopolio o addirittura di monopolio tali da pregiudicare i naturali meccanismi competitivi di mercato. Questa dinamica è già presente essendo il mercato dei generici dominato da sole 5 aziende: infatti l’82% del mercato è fatto da Teva, Mylan, Sandoz, Doc generici, EG. E’ difficile in queste condizioni parlare di monopolio delle multinazionali del farmaco, come fa l’On. Chiazzese.
L’autocertificazione sulla qualità poi non garantisce alcunché. È recente il caso del valsartan in cui erano presenti impurità potenzialmente cancerogene dal 2012 e nessuno s’è accorto di nulla, prima c’era stato il caso della messa al bando da parte di EMA di 300 generici e prima ancora di 700 farmaci generici prodotti in India e poi il ritiro degli 80 in Germania, e così via. Con questo non vogliamo certo dire che i generici sono pericolosi. La maggior parte di essi sono sicuri e gli eventuali inquinanti riscontrati non sono comunque dannosi, ma danno il segno di una grande incertezza. Il farmaco generico inoltre può essere approvato senza necessità di una dimostrazione diretta di equivalenza terapeutica. L’unico modo per ottenere una dimostrazione diretta di equivalenza terapeutica sarebbe condurre studi di fase 3 di natura comparativa.
Dati presenti nella letteratura medico-scientifica internazionale, alcune esperienze condotte in Italia e le segnalazioni di reazioni avverse ai farmaci presenti nel database dell’AIFA (compresi i casi di inefficacia terapeutica) concorrono a sostenere l’ipotesi che nei mercati farmaceutici di vari Paesi (compresa l’Italia) accanto a farmaci equivalenti di buona qualità siano presenti anche farmaci equivalenti di scarsa qualità. Senza norme rigorose il “cattivo” generico scredita tutta la categoria dei generici.
E’ vergognoso infine che un SSN universalistico permetta l’applicazione di ticket o superticket sui farmaci
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