Alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del ministro della Salute, Giulia Grillo, il ministero della Salute ha celebrato i 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale con un evento presso l’Auditorium “Biagio D’Alba” il 12 dicembre. Al centro dell’evento, le testimonianze dei protagonisti del SSN: Paola Accardi, infermiera, Italo Paolini, medico, Fabio Bernagozzi, volontario del 118, Roberto Mezzina, Direttore del Dipartimento Salute Mentale ASL Trieste, Annarita Cosso, rappresentante Associazione Pazienti, Alberto Mantovani, ricercatore, Nunzia Verde, studentessa specializzanda.
Al termine dell’evento “40 anni di Servizio Sanitario Nazionale, 1978-2018. La sfida continua” il Presidente Mattarella ha rivolto un saluto ai presenti: “Questi quarant’anni rappresentano una storia importante per il nostro Paese, una pagina ampiamente positiva – come è stato ricordato dai protagonisti che hanno parlato prima del ministro – che davvero ci pone all’avanguardia nella comunità internazionale.
Nel suo intervento il ministro Grillo ha ricordato che nell’Italia delle mutue, migliaia di italiani, i più poveri, non avevano spesso accesso alle cure. Il paziente non era protagonista delle scelte di salute che lo riguardavano, ma per lo più passivo destinatario di indicazioni dirette dall’alto.
Negli anni ‘70, i tempi erano ormai maturi perché anche il sistema dell’assistenza si dotasse di regole nuove, di una visione moderna e finalmente equa, attraverso un’organizzazione che attuasse pienamente i principi della Costituzione.
Al termine di un anno travagliato come il 1978, il Paese riuscì tuttavia a esprimere tre fondamentali leggi sanitarie, che dopo 40 anni sono ancora patrimonio sociale: la legge 180, la cosiddetta legge Basaglia che permise la chiusura dei manicomi e la legge 194 sulla maternità che eliminò il dramma degli aborti clandestini. Le legge 833 fu una rivoluzione, perché sancì la responsabilità pubblica della tutela della salute, l’universalità e l’equità di accesso ai servizi sanitari, una globalità di copertura in base ai livelli essenziali di assistenza, il finanziamento pubblico dei servizi attraverso la fiscalità generale, la titolarità dei diritti in tutto il territorio nazionale e la reciproca assistenza tra le regioni.
Oggi il problema non è spendere meno, ma spendere meglio. Mi piacerebbe che affrontassimo il tema della salute dei cittadini in termini di investimento per il futuro. Il sistema salute rappresenta oltre l’11% dell’intero PIL, e quindi costituisce una grande opportunità per i cittadini e per lo sviluppo virtuoso del Paese.
Il successo o l’insuccesso sarà determinato esclusivamente dalla capacità di individuare un nuovo modello e rimediare alle storture oggi presenti, eliminando le dispersioni di denaro pubblico e soppesando attentamente quale sia la migliore qualità delle prestazioni per ogni livello di spesa.
Non possiamo permetterci sbagli né alcune debolezze del passato.
Abbiamo già iniziato a rivedere il modello della governance nel settore farmaceutico e quello dei dispositivi medici. Non è sufficiente.
Vi posso assicurare che non cederemo alla privatizzazione dei diritti fondamentali dei cittadini: universalismo, gratuità ed equità continueranno a essere la base del nostro sistema di cure.
Auguri al Servizio Sanitario Nazionale, auguri all’Italia che guarda al futuro senza tradire i propri principi fondanti che sono vivi nella nostra Costituzione e nel nostro cuore.”
Dal Comunicato del Ministero della Salute
Andrea Mandelli, Presidente Fofi, ha dichiarato: “è doveroso ricordare come i principi di universalità ed equità alla base del nostro sistema sono oggi messi in forse da una politica che ha privilegiato la contabilità rispetto all’efficienza e all’efficacia. Oggi la Ministra della Salute Giulia Grillo ha definito il Servizio sanitario come la più grande impresa del paese. È vero, e allora non va dimenticato che nelle imprese occorre investire per la ricerca, per i miglioramenti organizzativi, per il personale e per la sua formazione”,
Sanità, la crisi economica e l’assalto all’universalismo
Nel nostro Paese la demolizione del servizio pubblico si fonda sul definanziamento del settore e sulla promozione del “secondo pilastro” assicurativo privato. Un disegno reso molto più pericoloso dall’assenza di qualsiasi resistenza a “sinistra”
Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 2/2018 della Rivista delle Politiche Sociali. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna dedica alla pubblicazione.
L’anno 1978, così denso di date significative per la salute a livello nazionale (legge 833/78, legge 180/78, legge 194/78) e internazionale (Dichiarazione di Alma Ata, settembre 1978), rappresenta una sorta di spartiacque della storia (anche nel campo della sanità), con un “prima” e un “dopo”. Il “prima” è il periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale, in cui si registra l’espansione del welfare universalistico – tratto comune dei governi liberaldemocratici e socialdemocratici europei – e si afferma il principio secondo cui alcuni servizi fondamentali, come l’istruzione e la sanità, debbano essere sottratti ai meccanismi di mercato e quindi essere garantiti dallo Stato, per offrire pari opportunità a tutti e per ridurre il rischio della dilatazione delle disuguaglianze all’interno della società (provocate per l’appunto dal mercato).
Il “dopo” prende le mosse agli inizi degli anni ottanta, con l’elezione di alcuni leader ultraconservatori – Margaret Thatcher in Gran Bretagna (1979) e Ronald Reagan negli Stati Uniti (1980) – e con l’affermarsi del neoliberismo. Le politiche neoliberiste si applicano anche alla sanità, che diventa terreno di conquista del mercato a livello globale, come si legge in un articolo di The Lancet del 2001: “Negli ultimi due decenni la spinta verso riforme dei sistemi sanitari basate sul mercato si è diffusa in tutto il mondo, da Nord verso Sud, dall’Occidente all’Oriente. Il modello globale di sistema sanitario è stato sostenuto dalla Banca Mondiale per promuovere la privatizzazione dei servizi e aumentare il finanziamento privato attraverso il pagamento diretto delle prestazioni (user fees). Questi tentativi di minare alla base i servizi pubblici, da una parte, rappresentano una chiara minaccia all’equità nei Paesi con solidi sistemi di welfare in Europa e in Canada, dall’altra costituiscono un pericolo imminente per i fragili sistemi dei Paesi con medio e basso reddito”.
Rudolf Klein ha paragonato le trasformazioni dei sistemi sanitari, avvenute dagli anni ottanta in poi in ogni parte del mondo, a una sorta di epidemia planetaria. Una potente motivazione alla ristrutturazione dei sistemi sanitari va ricercata nella necessità di far fronte ai costi derivanti dai crescenti consumi alimentati dall’estensione del diritto di accesso ai servizi, dall’invecchiamento della popolazione e dall’introduzione di nuove biotecnologie. Nel periodo intercorso tra il 1960 e il 1990 nei 29 Paesi più industrializzati appartenenti all’Ocse la spesa sanitaria mediana pro capite era passata da 66 a 1.286 dollari, mentre la mediana della percentuale della spesa sanitaria sul Pil passava nello stesso periodo dal 3,8 al 7,2%.
L’esigenza di contenere i costi, eliminando le spese inappropriate o inutili e dando più efficienza al sistema, si accompagnò a un altro tipo di spinta, di ordine politico-ideologico: la tendenza alla privatizzazione e all’introduzione del libero mercato, secondo le linee di politica neoliberista. La coincidenza cronologica dei due tipi di pressione (“più efficienza” e “più mercato”) ebbe l’effetto di dare più forza e giustificazione al secondo, attraverso il seguente ragionamento: solo applicando le regole del mercato, iniettando cioè potenti dosi di competizione e di privatizzazione, il sistema può diventare efficiente.
Nel 2011 la rivista inglese BMJ pubblicò un articolo, firmato da due tra i più noti ed esperti analisti di politica internazionale, Martin McKee e David Stuckler, dal titolo “The assault on universalism”. Secondo gli autori, la riforma del National health service (Nhs), allora in gestazione, voluta dal governo conservatore, mirava a smontare dalle fondamenta il glorioso Servizio sanitario nazionale, nato nel 1948: si trattava di un vero assalto all’universalismo. La loro tesi era che si utilizzava la crisi economico-finanziaria per distruggere i sistemi di welfare universalistici, quali il Nhs e altri servizi sanitari nazionali: “La crisi economica ha offerto al governo l’opportunità che capita una sola volta nella vita. Come Naomi Klein ha descritto in molte differenti situazioni, quelli che si oppongono al welfare state non sprecano mai una buona crisi”.
Nel Regno Unito la temuta riforma del Nhs è entrata in vigore nel 2013, producendo la totale privatizzazione dei servizi sanitari. Analogo destino è toccato alla Spagna: anche qui un governo conservatore non ha perso l’occasione fornita dalla crisi per sbarazzarsi – con un semplice decreto reale (aprile 2012) – del sistema sanitario universalistico, per consegnare tutto nelle mani delle assicurazioni. Anche in Italia è in atto l’assalto all’universalismo. Ma a differenza di quello che è avvenuto in Gran Bretagna e in Spagna, nel nostro Paese l’assalto non ha trovato un percorso politico e legislativo trasparente.
In Italia l’assalto all’universalismo – e ai princìpi fondanti della legge 833 approvata 40 anni orsono – si manifesta con un disegno bipartisan fondato sul definanziamento del settore sanitario pubblico e sulla promozione del “secondo pilastro” assicurativo privato. Un disegno molto simile a quello ordito nel 1992 dal ministro De Lorenzo, ma reso oggi molto più pericoloso dalla convergenza di molteplici interessi e dall’assenza di qualsiasi resistenza a “sinistra”. C’è da augurarsi che le molteplici iniziative che sono in cantiere per ricordare i 40 anni di vita del Servizio sanitario nazionale servano a risvegliare dal loro sonno le forze politiche e sindacali che hanno (o dovrebbero avere) nel loro bagaglio ideale il concetto di diritto alla salute e di uguaglianza di tutte le persone di fronte alla malattia.
Gavino Maciocco è docente di Sanità pubblica presso l’Università di Firenze
rassegna.it – 12 dicembre 2018
Notizie correlate: 40 anni SSN, Monaco (FNOMCeO): “Gli Ordini custodi dei diritti dei cittadini”
Legge 23 dicembre 1978, n. 833 “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
- 29. La produzione e la distribuzione dei farmaci devono essere regolate secondo criteri coerenti con gli obiettivi del servizio sanitario nazionale, con la funzione sociale del farmaco e con la prevalente finalita’ pubblica della produzione.
- Con legge dello Stato sono dettate norme: … g) per la regolamentazione del servizio di informazione scientifica sui farmaci e dell’attività degli informatori scientifici
- 31. (Pubblicità ed informazione scientifica sui farmaci). – Al servizio sanitario nazionale spettano compiti di informazione scientifica sui farmaci e di controllo sull’attività di informazione scientifica delle imprese titolari delle autorizzazioni alla immissione in commercio di farmaci. …
- Nell’ambito del programma di cui al precedente comma, le unità sanitarie locali e le imprese di cui al primo comma, nel rispetto delle proprie competenze, svolgono informazione scientifica sotto il controllo del Ministero della sanità.
- Sino all’entrata in vigore della nuova disciplina generale dei farmaci di cui all’articolo 29, il Ministro della sanita’ determina con proprio decreto i limiti e le modalita’ per la propaganda e la pubblicita’ presso il pubblico dei farmaci diversi da quelli indicati nel precedente comma, tenuto conto degli obiettivi di educazione sanitaria di cui al comma successivo e delle direttive in materia della Comunita’ economica europea.
- Decreto Ministeriale 23 giugno 1981 – Art. 1- ripreso dal D. M. 23 novembre 1982 e D. M. 26 febbraio 1985.
- ” L’ attività di informazione scientifica sui farmaci ad uso umano …. deve essere volta ad assicurare il corretto impiego dei farmaci stessi, anche con riferimento all’ esigenza del contenimento dei relativi consumi”.
- … Considerati i riflessi dell’attività dell’informatore medesimo nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, è da ritenere qualificante l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno e subordinato.