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CACCIA AI FARMACI NELLA GIUNGLA DEI TICKET

Da zero a 36,5 euro a ricetta

Inutile provarci. Nello scacchiere italiano dei ticket è davvero un’impresa scovare due Regioni sovrapponibili. La situazione è drammaticamente disomogenea, ovunque ti sposti. Esistono ventuno repubbliche differenti. Uno degli effetti del federalismo che ha dato alle amministrazioni locali l’autonomia di legiferare in materia di sanità.
Percorriamo un ipotetico itinerario attraverso la Penisola. Partiamo dalla Calabria. Per avere i farmaci di fascia A (quelli rimborsabili) non si paga nulla e lo stesso vale al pronto soccorso dove le prestazioni, anche la più banale come la medicazione di una ferita, sono gratuite. Per esami diagnostici e visite specialistiche invece il cittadino versa un massimo di 36,5 euro a ricetta.
Saliamo verso il Nord. Nel Lazio, prima Regione ad aver subito il commissariamento da parte del governo, i romani sborsano 4 euro a confezione se il medicinale costa più di 5 euro, la metà se è inferiore. Tutto gratis al pronto soccorso. Per specialistica e diagnostica, i contributi dipendono dalle prestazioni (ad esempio 15 euro per risonanza magnetica e Tac). Ultima tappa in Lombardia, regione con bilancio in pari, eppure perseverante nel riscuotere il contributo alle spese farmaceutiche: 2 euro o 1 euro a seconda del prezzo della confezione, di pronto soccorso (25 euro i codici bianchi, cioè gli interventi meno urgenti che non richiederebbero l’impegno di una struttura deputata alle emergenze), e di specialistica (massimo 36 euro per 8 prestazioni).
Una vera e propria giungla, secondo l’indagine molto aggiornata condotta dal quindicinale il Bisturi, pubblicata sul numero in uscita domani, e dal Ceis di Tor Vergata. Oltre a non garantire equità di trattamento ai contribuenti, favoriti o sfavoriti a seconda di dove abitano, il sistema dei ticket così come è applicato oggi si dimostra fallimentare per molti altri versi. Nato come strumento di appropriatezza e controllo della spesa, viene quasi ovunque utilizzato per colmare i buchi di bilancio. Una tassa. In pratica i cittadini scontano la colpa dell’inefficienza gestionale delle amministrazioni. Sarebbe forse venuto il momento di intervenire, di introdurre una sorta di linguaggio comune in modo da rendere omogeneo il sistema di riscossione. Sempre nel rispetto dell’autonomia delle Regioni.
«Non si può fare a meno dei ticket, intesi soprattutto come strumento di regolazione dei servizi. Se devi pagare stai attento a acquistare farmaci, la gratuità invece è sorgente di abusi. E’ inconcepibile che esistano differenze di modelli perfino tra Asl contigue», afferma senza giri di parole Francesca Martini, sottosegretario al Welfare. E’ convinta che «Stato e Regioni debbano avviare un dibattito. Sono misure impopolari, la parola fa paura ai governi, ma ritengo ci debba essere una sorta di Lea dei ticket decidendo quanto e come il cittadino deve pagare in tutta Italia». Mette le mani avanti Enrico Rossi, assessore della sanità in Toscana, coordinatore della commissione Salute delle Regioni, preoccupato che si possa procedere a una ridistribuzione del Fondo per la sanità per soccorrere le amministrazioni in deficit: «Non si penserà che per rendere i cittadini tutti uguali di fronte al ticket si vengano a togliere i soldi a noi. Il ticket non è uno scandalo. Noi abbiamo il diritto di fare le nostre politiche».
Chissà se se ne parlerà durante le negoziazioni sul nuovo Patto per la salute 2010-2011, primo appuntamento questa settimana. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi si ritrova sul tavolo anche il caso Calabria, 2 miliardi in rosso. C’è minaccia di commissariamento. La Regione governata da Agazio Loiero, governatore di centrosinistra, è tra quelle che non applicano ticket né su farmaci n&eacute

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