Francesco Rossini di Brescia, per trent’anni ha fatto l’informatore scientifico, è un vero appassionato d’arte dotato di occhi lunghi nel valutare e riconoscere tele di reale valore sui mercatini e nelle cianfrusaglie dei rigattieri.
L’esposizione, di notevole valore, si protrae dall’ultima parte dello scorso anno. Nelle Scuderie Imperiali del Castello di Praga, in Repubblica Ceca, dal 15 dicembre scorso i visitatori possono contemplare le sensuali ed enigmatiche donne dipinte dal Tiziano chiamate «Vanità».
Queste opere sono raccolte in una mostra curata dal professor Lionello Puppi, senz’altro uno tra i più profondi conoscitori del lavoro realizzato dall’artista nel corso della sua attività, e da Serena Baccaglini; la mostra gode del patrocinio del Ministero del Governo italiano per i Beni e le Attività Culturali, dell’Ambasciata d’Italia a Praga e di altri enti.
LA NOTIZIA in sé non sarebbe fresca e non sarà certamente sfuggita ai più autentici appassionati dell’arte rinascimentale.
Ciò che induce a parlarne però è un’altra notizia, sconosciuta invece ai bresciani. Tra i molti quadri che fanno da corona alle Vanitas del Tiziano, nelle sezioni ritratti, a tema religioso, esposti per meglio illustrare l’opera pittorica del grande cadorino, c’è un quadro appartenente alla collezione privata di un bresciano.
Si tratta di una «Deposizione del Cristo nel sepolcro» ed è collocato tra i primi a destra entrando nella sala espositiva, nella sezione di argomento religioso.
Il collezionista protagonista di questa presenza in terra praghese è Francesco Rossini di Brescia, nativo di Torbole Casaglia, dove ancora risiedono i suoi parenti.
Rossini è un vero appassionato d’arte, da tanto tempo. Autodidatta, sì, ma allo stesso tempo dotato di occhi lunghi nel valutare e riconoscere tele di reale valore sui mercatini e nelle cianfrusaglie dei rigattieri.
ROSSINI è molto conosciuto nel mondo dei medici e dei farmacisti perché, per trent’anni, ha fatto l’informatore scientifico nelle province di Brescia, Mantova e Cremona. Si dichiara «un appassionato d’arte» e, da quando è in pensione, dedica molto tempo alla ricerca di dipinti antichi.
Avendo adocchiato presso un suo conoscente l’opera in questione, Francesco Rossini subito capì che risaliva al Cinquecento. L’acquistò ed iniziò a studiarla e a compararla con altre «Deposizioni», quella del Tiziano al Louvre di Parigi e quell’altra del Museo Borgogna di Vercelli. Notò subito un errore, una discrepanza: nel suo quadro la gamba sinistra del Cristo ha un ginocchio piegato verso il basso, mentre il resto della parte inferiore della gamba continua oltre il lenzuolo. Era evidente che si trattava di un bozzetto del quadro, eseguito probabilmente nella bottega del pittore all’incirca nell’anno 1519. Chiese dunque, per capirne di più, il parere ad un esperto bresciano.
Decisamente interessante, il responso, secondo il quale si trattava di una copia della Deposizione del Louvre (forse databile al 1559). Insoddisfatto, Rossini si rivolse a Lionello Puppi e il professore confermò che la tela era del Cinquecento e di ottima fattura. Se non proprio del Tiziano, almeno, sicuramente, della sua bottega.
Fatta una ripulitura, ed un restauro, in quel di Aramengo nell’Astigiano, l’opera si palesò in tutto il suo splendore. Con la massima soddisfazione del Rossini.
IN SEGUITO Lionello Puppi, quando fu richiesto di allestire la mostra di Praga, non dimenticò il collezionista bresciano e gli chiese di esporre il suo quadro nella sezione delle opere religiose.
Francesco Rossini non è nuovo a questo genere di scoperte. Nella sua carriera di rabdomante dell’arte, capace di individuare ciò che è prezioso distinguendolo da ciò che non lo è, ha tratto dal buio del degrado e della dimenticanza opere che sono state attribuite al Pitocchetto, a Degas, a Manet, a Corot e persino a Raffaello. Queste storie sono già state raccontate sulle colonne di «Bresciaoggi» di alcuni anni fa.