Big Pharma, dopo il boom dei profitti grazie ai vaccini chiede l’esenzione dalla tassa minima globale: “Ce lo meritiamo”

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Il Wall Street Journal dà conto di una massiccia azione di lobbying su Washington e Bruxelles avviate dalle case farmaceutiche che chiedono di essere esentate dal nuovo regime di aliquota unica globale. Eppure negli ultimi dieci anni Pfizer ha subito un prelievo effettivo di appena il 5,8%, Johnson &Johnson del 10,8%

Il FattoQuotidiano – 27 luglio 2021

Per il 2021 Pfizer ha messo a bilancio 26 miliardi di dollari di ricavi aggiuntivi, legati alla vendita dei vaccini contro il Covid. Nell’ultimo anno Moderna ha quadruplicato il suo valore di borsa. Oggi capitalizza 135 miliardi di dollari, più di Goldman Sachs.

Eppure, secondo l’industria farmaceutica a stelle e strisce, il Covid ha sottoposto il settore a sforzi senza precedenti e questo giustificherebbe la richiesta di un’esclusione dall’accordo globale sulla tassazione delle multinazionali raggiunto poche settimane fa. Un accordo al ribasso che comunque, grazie all’introduzione di un’aliquota minima globale del 15%, vanifica i benefici del ricorso ai paradisi fiscali. Come scrive oggi il Wall Street Journal l’imponente apparato lobbistico del settore si è così messo in moto per fare pressione su Washington e Bruxelles.

Le case farmaceutiche sostengono che, se applicata, la riforma costerebbe “centinaia di milioni di dollari” di tasse aggiuntive ogni anno. Secondo fonti che hanno assistito alla messa a punto della strategia comunicativa, le società intendono far leva sul ruolo che hanno avuto nel contrasto alla pandemia per chiedere una sorta di premio fiscale.

Vale la pena ricordare che, soprattutto nella prima e più rischiosa fase di sviluppo, larga parte delle risorse per la produzione del vaccino sono arrivate da governi e contribuenti. Sia siglando contratti “a scatola chiusa” per la fornitura delle fiale, sia attraverso sussidi diretti. Capo fila della rivolta contro il nuovo regime di tassazione sono i due colossi Johnson & Johnson e Pfizer, rispettivamente la prima e l’ottava casa farmaceutica al mondo. Le due “sorelle della fiala” sostengono tra l’altro che tasse più alte renderebbero le case farmaceutiche Usa più vulnerabili ad “acquisizioni dall’estero”. Tesi curiosa visto che l’accordo sull’aliquota minima si applica a livello globale.

Come i colossi del web, le case farmaceutiche hanno vita facile nello spostare i profitti in paesi con tasse bassissime o inesistenti attraverso operazioni tra diverse filiali. Alle licenze di farmaci e ai brevetti è difficile attribuire un prezzo di mercato (così come agli algoritmi o ai software) ed è quindi relativamente semplice spostare gli utili da un paese all’altro.

La titolarità delle licenze viene assegnata alle divisioni domiciliate nelle giurisdizioni fiscalmente favorevoli, che poi le vendono alle altre controllate sparse per il mondo. Secondo uno studio condotto dall’esperto di finanza aziendale Aswath Damodaran, ripreso dal quotidiano economico statunitense, nell’ultimo decennio Pfizer ha subito un prelievo fiscale medio effettivo del 5,8%. Su 100 dollari di profitti meno di 6 sono finiti in tasse. Nel 2015 il gruppo ha comprato Allergan, società domiciliata in Irlanda (dove il prelievo è del 12,5%) spostando a sua volta sull’isola il suo domicilio fiscale (classica operazione di “esterovestizione”, ndr). Operazione che sollevò forti critiche, anche alla luce dei cospicui finanziamenti pubblici che Pfizer ha ricevuto dal National Institutes of Health per la ricerca di base. Johnson & Johnson ha dichiara un prelievo effettivo nel 2020 del 10,8%

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