A dividerli erano solo 60 chilometri, un lembo del distretto industriale del New Jersey tagliato a metà dalla superstrada 78. Per unirli c’è voluto però un ampio concorso di fattori: la crisi galoppante, alcuni importanti brevetti in scadenza, la necessità di abbattere in fretta i costi e di diversificare il più possibile l’offerta, con un occhio di riguardo alle biotecnologie. Così, sull’esempio di Pfizer e Wyeth, altri due colossi farmaceutici sono convolati a nozze: l’americana Merck ha acquistato la rivale ScheringPlough per 41,1 miliardi di dollari, dando vita a un gigante in grado di generare 46,9 miliardi di ricavi, presente con i suoi prodotti in 140 paesi. La mossa della Merck & Co. (da non confondere con l’omonima azienda tedesca) rappresenta una cesura con il suo passato di rigorosa autonomia scientifica, al punto che alcuni analisti hanno bollato il merger come «tattica da ultima spiaggia». In effetti, nei calcoli dei manager di Whitehouse Station il cambio di strategia porterà in cassa non meno di 2 miliardi di dollari provenienti dai mercati emergenti, dove Schering-Plough è ben radicata, e la compagnia potrà ampliare notevolmente il suo portafoglio di farmaci entrando in nuovi settori, dalla cura degli animali (con vendite stimate di 3 miliardi l’anno) alla cosmetica con le calzature Dr. Scholl’s e le lozioni Coppertone. La transazione porterà al raddoppio del numero di blockbuster che Merck ha in sviluppo avanzato raggiungendo la ragguardevole cifra di 18 molecole. Tra queste spicca il TRA, un promettente farmaco antitrombotico per impedire la coagulazione del sangue. La logica di base è semplice: come ha calcolato in Italia la Farmindustria, ogni brevetto scaduto di un importante farmaco può provocare perdite superiori al 20% del fatturato in un anno. Per evitare che tanti miliardi di dollari vadano in fumo, occorre trovare delle alternative. Nel 2012 scadrà per esempio il brevetto di Singulair, una cura per l’asma che da sola genera il 18% dei ricavi della Merck. Insomma, il gruppo aveva bisogno di una boccata d’ossigeno e sembra averla trovata nella fusione: la dinamica compagnia di Kenilworth che ha acquisito non ha in calendario scadenze così imminenti e l’accordo, a partire dal 2011 porterà a risparmi per 3,5 miliardi l’anno. Non senza qualche doloroso effetto collaterale, su tutti un taglio di 16mila posti di lavoro, il 15%. E con qualche rischio: ScheringPlough ha in piedi una jointventure con Johnson & Johnson per commercializzare il Remicade, un rimedio per l’artrite reumatoide. Si tratta di una partnership da 2,1 miliardi di dollari annui, che potrebbe venir meno se dovesse scattare la clausola del cambio di proprietà. Perciò a livello tecnico il deal si è configurato come un’acquisizione di Merck da parte di Schering-Plough, nonostante la prima sia il soggetto dominante. Il merger non sembra essere l’ultimo, alla luce tra l’altro dei piani di Barack Obama di abbassare i prezzi dei medicinali. Come dimostra uno studio pubblicato da Ims Health, nel 2008 la Food and drug administration ha approvato 24 nuovi farmaci, il numero più alto degli ultimi tre anni. Ma in sei mesi quei prodotti hanno generato profitti per 40 milioni di dollari, la cifra più bassa da dieci anni. Pfizer, per ridurre i contraccolpi della crisi, ha comprato Wyeth per la cifra record di 68 miliardi. Roche la settimana scorsa ha completo l’acquisizione della quota che le manca (il 44%) per avere il controllo di Genentech. L’accordo ha posto fine ad una battaglia finanziaria durata otto mesi, con un’offerta superiore del 9,8% rispetto a quella avanzata in passato dalla Roche e del 3% superiore rispetto alla chiusura di Borsa del momento in cui è stata conclusa (giovedì). In definita, Roche ha pagato 46,5 miliardi di dollari. E ora, quali saranno le prossime mos
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