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Aviaria, commercio di vaccini scaduti. «Con 100 lire ho guadagnato milioni»

Un traffico illegale di virus, con relativo tariffario che sale di prezzo a seconda della pericolosità del ceppo ceduto. Un’indagine appena conclusa che contesta a 41 persone, tra funzionari ministeriali e manager di colossi farmaceutici, dalla ricettazione alla corruzione, dalla somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica alla tentata epidemia, dalla concussione all’abuso d’ufficio.

Un traffico illegale di virus, con relativo tariffario che sale di prezzo a seconda della pericolosità del ceppo ceduto. Una «company» che sfrutta interessi pubblici (la salvaguardia della salute) per favorire interessi privati (la vendita di farmaci). La «mente commerciale della company» è – a suo dire – la virologa dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie Ilaria Capua (deputato di Scelta Civica). Colui che «tiene la bussola» degli affari è il marito Richard Currie, dirigente della multinazionale Fort Dodge. L’obiettivo comune è «fare i soldi… con cento lire». Un sistema corruttivo capillare e allarmante quello scoperto dalla Procura di Roma, in un’indagine appena conclusa che contesta a 41 persone, tra funzionari ministeriali e manager di colossi farmaceutici, dalla ricettazione alla corruzione, dalla somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica alla tentata epidemia, dalla concussione all’abuso d’ufficio.

In una telefonata del 23 giugno 2006 Capua spiega a Stefano Marangon, direttore sanitario dell’Izs di Padova, che suo marito si sta occupando della vendita di alcuni ceppi virali: «Noi quelli a bassa patogenicità li facciamo pagare duemila e cinque (…) questo lo potremmo far pagare 5 mila. Però poi dopo… che la mente commerciale della company in realtà sono io… gli ho detto scusa perché non gli facciamo pagare le royalties? E Richard ha detto che ci avrebbe pensato (…) Perché Stefano… tutti i vaccini in circolazione, praticamente tutti, sono fatti con i virus nostri». In effetti in una telefonata del 19 settembre 2006, parlando con il suo collaboratore Giovanni Cattoli dell’invio negli Stati Uniti di un ceppo virale dell’influenza aviaria di origine italiana H7N1 ad alta patogenicità in favore della ditta Fort Dodge America, la virologa ammette «perché loro ci danno 5 mila euro per spedire i virus». Il tutto in barba al rischio di una pandemia che può derivare dalla diffusione di un virus risultato tra l’altro mortale per l’uomo. Parlando con Marangon, il 30 marzo 2007, Capua si sfoga così: «Mi sono rotto il ca..o di passare per pirata».

Lo scambio corruttivo tra i funzionari dell’Izs delle Venezie e le ditte Fort Dodge e Merial si palesa nel contratto per lo sfruttamento del brevetto del test Diva. L’Istituto non trattiene per sé le somme ricevute dalle aziende farmaceutiche, sottoforma di royalities, ma le versa ai tre titolari del brevetto: Marangon, Capua e Cattoli. Lo spiega chiaramente la deputata di Scelta civica al padre, l’avvocato Carlo Capua, il 19 maggio 2006: «I soldi vanno in Istituto e poi l’Istituto li dà a noi». Significativa, in questo senso, una conversazione telefonica del successivo 12 luglio in cui Marangon informa Capua di aver ricevuto un assegno di 63 mila dollari dalla Fort Dodge e lei gli risponde: «Eh, eh… abbiamo fatto soldi…! Con cento lire». Marangon: «E poi Candoli ha mandato il resoconto del primo… semestre». Capua: «E quanti soldi ci danno?». Marangon: «Eh beh… non ho guardato». Capua: «Ah..! Adesso fai il superiore! (ride) Non hai manco dato una sbirciatina». Marangon: «No perché bisogna fare i calcoli… e poi non mi ricordo più la… quant’è». Capua: «Allora siamo miliardari! (ride) No… beh siamo centenari!». E in effetti di cifre a due zeri si parla in una telefonata del 3 febbraio 2007. In relazione ai conteggi delle royalities del 2006 relative allo sfruttamento del brevetto, Capua dice a Cattoli: «Guarda che io con questi conti dell’Istituto… questi mi danno… ci sono entrati più di 200 mila euro».

Ciò che conta non è tutelare la salute, ma gli interessi economici delle aziende farmaceutiche. Anche a costo di spendere milioni di euro della collettività per acquistare scorte di vaccino già scaduto o prossimo alla scadenza, per giunta di un sierotipo diverso da quello in circolazione. È quello che sarebbe successo per contrastare il virus della blue-tongue, la febbre catarrale dei ruminanti, conosciuta anche come «lingua blu». Dopo che a marzo del 2006 la ditta Merial ha fornito 1.831.000 dosi di vaccino all’Izs di Teramo (centro di referenza nazionale per la blue-tongue), nel mese di agosto, in seguito all’insorgenza della malattia nei paesi del Nord Europa, i dirigenti dell’azienda farmaceutica tornano nuovamente all’attacco per tentare di vendere al Ministero altri 3,6 milioni di dosi (sierotipo 2 e 4). In effetti ad ottobre in Sardegna scoppia un’epidemia di lingua blu, ma di sierotipo 1. Nerina Dirindin, allora assessore regionale alla Sanità, il 21 dicembre chiama l’ad di Merial Italia spa Pierluigi Crippa: «Noi abbiamo bisogno di quantità enormi… come lei può capire… non so se conosce questo settore…». Servono, in sostanza, tempi più rapidi «rispetto a quelli che tradizionalmente gli uffici stanno percorrendo insieme ai produttori vostri competitori». Crippa «contro ogni logica di carattere scientifico – si legge nell’informativa dei Nas di Roma – pretenderebbe di vaccinare con i sierotipi 2 e 4, nonostante il vaccino specifico per l’emergenza in atto è il sierotipo 1». I manager di Merial si preoccupano poi che la consegna venga fatta entro e non oltre il 31 gennaio 2007 «di modo che ci cauteliamo – spiega Fabio Galavotti, responsabile logistico dell’azienda – perché magari questi ci facessero l’ordine al primo aprile… ci fanno un bel pesce… perché il prodotto sappiamo che ha quelle validità».

Valeria Di Corrado  22/07/2014 IL TEMPO

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