La Fondazione Gimbe, ha pubblicato un report che analizza esclusivamente le maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di tutela della salute, anche se, secondo il principio Health in all policies e il più recente approccio One Health, ulteriori ambiti su cui le Regioni possono richiedere forme di autonomia possono avere un impatto, più o meno rilevante, sulla salute pubblica: in particolare, sia materie di esclusiva competenza statale (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema), sia di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni (tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, grandi reti di trasporto e di navigazione previdenza complementare e integrativa).
Dall’analisi delle richieste di autonomia avanzate dalle tre Regioni emergono alcune considerazioni generali
- Alcune istanze rappresentano oggi strumenti fondamentali per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario e dovrebbero essere estese a tutte le Regioni: in particolare, l’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro (strettamente legati agli accordi con le Università), che andrebbero a sostituire le attuali borse di studio al fine di anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di medicina generale.
- Altre forme di autonomia rischiano di sovvertire totalmente gli strumenti di governance nazionale aumentando le diseguaglianze regionali, proprio in un momento storico dove la riorganizzazione dei servizi sanitari legata alle risorse del PNRR impone di ridurle: dal sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione al sistema di governance delle aziende e degli enti del Servizio Sanitario Regionale (SSR) all’autonomia nella determinazione del numero di borse di studio per la scuola di specializzazione e al corso di formazione specifica in medicina generale.
- Alcune istanze risultano francamente “eversive” rispetto al SSN. Una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali totalmente sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale. Inoltre, la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con trasferimento di personale dal Sud al Nord, ponendo, peraltro, una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sugli stessi sindacati.
- La richiesta all’AIFA di valutazioni sull’equivalenza terapeutica e le autonomie su distribuzione ed erogazione dei farmaci appaiono ragionevoli, vista anche la supremazia decisionale riconosciuta all’ente regolatore: tuttavia tali istanze risultano oggi condizionate anche dalla recente riforma dell’AIFA, ai sensi della legge di conversione del DL 169/22 i cui aspetti operativi al momento non sono affatto chiari.
- La richiesta di maggiori autonomie per programmare gli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico del SSN è di difficile interpretazione visto che fa riferimento ad “un quadro pluriennale certo e adeguato di risorse”, senza ulteriori declinazioni.
Dai dati della survey GIMBE, ad oggi l’unica condotta sul tema del regionalismo differenziato, e dall’analisi dei commenti sono emerse alcune ragionevoli certezze:
- L’esigua percentuale di “Non so” (range 2,0-8,2%) e l’elevato numero di commenti riflette un campione composto prevalentemente da stakeholder della sanità.
- L’impatto delle maggiori autonomie in sanità sulle diseguaglianze regionali viene percepito come rilevante (media da 3,0 a 3,4), con deviazioni standard omogenee tra le diverse autonomie (da 0,9 a 1,1).
- Tra le preoccupazioni più frequenti: l’irreversibilità del processo, l’imprevedibilità delle conseguenze, l’ulteriore spaccatura Nord-Sud, l’aumento del divario tra Regioni ricche e povere, la differenziazione del diritto costituzionale alla tutela della salute.
- Le numerose proposte per “mitigare” i possibili effetti collaterali delle maggiori autonomie in sanità possono essere ricondotte a tre contromisure: il contestuale aumento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, la messa in atto di meccanismi di solidarietà tra Regioni, aumentare in maniera consistente la quota di deprivazione da destinare alle Regioni del Centro-Sud.
Questi risultati suggeriscono che, relativamente alla sanità, il regionalismo differenziato deve essere “maneggiato con cura” con l’irrinunciabile obiettivo di rispettare gli equilibri previsti dalla Costituzione e garantire il diritto alla tutela della salute sull’intero territorio nazionale.
In uno scenario di maggiori autonomie regionali, la sanità rappresenta indubbiamente la cartina al tornasole, perché nonostante la definizione dei LEA nel 2001, il loro monitoraggio annuale tramite la “Griglia LEA” e l’utilizzo di strumenti da parte dello Stato (Piani di rientro e commissariamenti) per migliorarne l’erogazione e riequilibrare i bilanci in alcune Regioni, i dati documentano la persistenza di inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, sia nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie sia negli esiti di salute. In altre parole, la sanità rappresenta da oltre 20 anni un “ecosistema” dove il processo di definizione di standard nazionali (LEA), il loro monitoraggio e le azioni intraprese dallo Stato non hanno affatto ridotto le diseguaglianze regionali, e in particolare il gap strutturale Nord-Sud, che su vari indicatori è addirittura peggiorato, come documentano anche i dati sulla mobilità sanitaria.
Di conseguenza, l’attuazione delle maggiori autonomie richieste dalle Regioni con le migliori performance sanitarie è inevitabilmente destinata ad amplificare le diseguaglianze di un SSN, oggi universalistico ed equo solo sulla carta. I princìpi fondanti del SSN si sono già dissolti senza alcun ricorso all’autonomia differenziata, ma solo in ragione della competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute. Il regionalismo differenziato finirà dunque per legittimare normativamente e in maniera irreversibile il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. E questo proprio nel momento in cui il nostro Paese ha sottoscritto con l’Europa il PNRR, che ha l’obiettivo trasversale di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali.
Per tali ragioni la Fondazione GIMBE invita il Governo a mettere da parte posizioni sbrigative e, soprattutto, a non utilizzare il regionalismo differenziato come “merce di scambio” per conciliare gli obiettivi di un partito fortemente nazionalista con quelli di una forza politica che da tempo spinge sulle autonomie regionali e sul federalismo fiscale.
Perplessità espresse anche dal Presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli, in un comunicato dell’Ufficio Stampa della Federazione dell’Ordine dei Medici
Autonomia differenziata, Anelli (FNOMCeO): “Chiediamo alla politica di rivedere il testo, prima di partire con l’autonomia vanno colmate le disuguaglianze di salute”
L’art. 116, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di attribuire alle Regioni a statuto ordinario “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” (c.d. “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”) sulla base di un’intesa tra lo Stato e le Regioni che ne facciano richiesta. Firmata l’intesa, al Governo spetta formulare il relativo DDL di ratifica che dovrà essere quindi approvato dalle Camere con maggioranza assoluta.
“Tutte le persone sono uguali davanti alla Repubblica – dichiara però Anelli, Presidente FNOMCeO. – come recita benissimo l’articolo 3 della Costituzione, che dichiara che ogni persona è uguale per lo Stato, senza distinzione alcuna, senza differenza di censo, di stato, di opinione, di lingua, di religione, di sesso e così via. E anche per la salute vale la stessa questione: ad. ogni persona presente sul territorio nazionale, lo Stato, la Repubblica garantisce il diritto alla salute. Orbene, il testo che è stato presentato sull’autonomia differenziata, che esalta ovviamente il ruolo delle Regioni, rischia di non essere un testo che aiuta a colmare le differenze che, purtroppo, esistono sul territorio nazionale, le disuguaglianze in tema di salute”.
Disuguaglianze che, storicamente consolidate sul nostro territorio, sono state esacerbate dalla pandemia: secondo un recente studio di Save The Children, un neonato di Firenze ha un’aspettativa di vita di quasi quattro anni in più rispetto a uno di Caltanissetta. Mentre un bambino nato nel 2021 in provincia di Bolzano ha una speranza di vivere in buona salute per 67,2 anni, contro i 54,2 di uno nato in Calabria.
Schema del Disegno di Legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata