Autonomia differenziata è legge. Che conseguenze per la sanità?

L’autonomia differenziata è il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una Regione che ne fa richiesta di una autonomia legislativa su materie di competenza concorrente e, in tre casi, di materie di competenza esclusiva dello Stato. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni anche la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (art. 117 Costituzione)

Si tratta di una legge procedurale che definisce le procedure legislative e amministrative da seguire per attuare il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, dove prevede la possibilità di attribuire «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta.

La legge consta di 11 articoli che consentono di “trasferire funzioni” su 23 materie, salute e istruzione incluse. La clausola è che prima vanno definiti i Lep: i Livelli essenziali delle prestazioni, una sorta cioè di “livello minimo garantito” su tutto il territorio, comprese quelle regioni che non hanno richiesto l’autonomia differenziata. Il governo entro 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. L’autonomia alla Regione che la chiede sarà concessa solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili per i Lep in legge di bilancio.

Stato e Regioni, una volta avviati i negoziati, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo che dovrà passare sia in Cdm, sia in Conferenza Stato-Regioni sia in Parlamento. Le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate. Oppure potranno terminare prima con un preavviso di almeno 12 mesi.

L’undicesimo articolo prevede la clausola di salvaguardia che consente al governo di usare il “potere sostitutivo”. Il governo cioè può sostituirsi agli enti locali quando si riscontri che essi siano inadempienti sulle materie per le quali hanno ottenuto l’autonomia.

La salute fa parte delle materie di “legislazione concorrente”, materia per la quale la regione che ne farà richiesta avrà autonomia legislativa. Per la sanità e ambiente, i Lep sono già definiti (in questi casi si chiamano Lea e Lepta).Come noto, i livelli essenziali di assistenza (LEA) sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse). Le regioni che economicamente possono permetterselo possono aumentare le prestazioni offerte. Attualmente il riparto del fabbisogno sanitario nazionale (FSN), con cui lo Stato trasferisce le risorse alle Regioni, è indipendente dal raggiungimento o meno dei LEA e avviene secondo criteri di popolazione residente, in parte “pesata” per l’età. La legge sull’autonomia permetterà alle regioni più ricche, che trattengono parte del gettito fiscale destinato a sostenere le funzioni assegnate, di “differenziare” non solo le prestazioni offerte ma anche i trattamenti economici per i propri dipendenti, offrendo così retribuzioni più alte per i propri sanitari.

Anelli (FNOMCeO) ha dichiarato: “Prevedere provvedimenti e interventi per far sì che le disuguaglianze di salute, che con l’autonomia differenziata potrebbero ampliarsi, siano colmate o evitate. Come? Potenziando il ruolo del Ministero della Salute e investendo nella Sanità e sui suoi professionisti. La via da seguire è quella di dare al Governo la possibilità di intervenire per ridurre le disuguaglianze attraverso un potenziamento del Ministero della Salute, in modo tale da poter intervenire lì dove quelle Regioni o quei territori presentino gravi differenze in termini di tutela della Salute nei confronti dei loro cittadini”

“La legge sull’Autonomia differenziata, o meglio sul regionalismo potenziato, approvata con una maratona notturna, segna l’inizio della fine per l’indivisibilità dei diritti civili e sociali, a cominciare da quello alla salute”.
Questo il commento del Segretario Nazionale Anaao Assomed Pierino Di Silverio.

I poteri concessi in sanità dall’autonomia differenziata non sono pochi, è l’allarme lanciato da Di Silverio: “determinazione di tariffe e tickets; gestione dei fondi integrativi, con il rischio del risorgere di sistemi mutualistici-assicurativi; governance delle aziende, con la possibilità di un sistema arlecchino; mano libera sul sistema di formazione post laurea. Fino alla nascita di un mercato competitivo per l’ingaggio dei professionisti, l’avvio di una concorrenza selvaggia nell’acquisizione delle risorse umane nutrita dal dumping salariale e dalle incentivazioni regionali, che svuoterà di valore il CCNL dei dipendenti”.

“La possibilità concessa alle Regioni ricche (il Nord) di trattenere più gettito fiscale prosegue Di Silverio – configura un extra finanziamento destinato ad alimentare prestazioni sanitarie aggiuntive per alcuni cittadini rendendo un diritto costituzionale funzione del reddito e della residenza. Chi risiede in Regioni “forti” si curerà, gli altri potranno solo aspettare o migrare o rinunciare alle cure, come già fanno 4,5 milioni di italiani. Un sistema indebitato e sottofinanziato, che esplicitamente esclude “aggravi” per la finanza pubblica, come potrà colmare l’attuale differenza del 25% di spesa sanitaria individuale tra Nord e Sud?

Per Gimbe: l’autonomia differenziata porterà al collasso la sanità delle regioni del Sud. Nel suo report “l’Autonomia Differenziata in Sanità“, Gimbe afferma: “A fronte di un SSN ispirato 45 anni fa dai princìpi fondanti di universalità, uguaglianza, equità, oggi ci ritroviamo 21 sistemi sanitari regionali profondamente diseguali, con i residenti nella maggior parte delle Regioni meridionali a cui non sono garantiti nemmeno i LEA. E questa “frattura strutturale” Nord-Sud contribuisce ad alimentare il triste fenomeno della mobilità sanitaria che nel 2021 ha toccato quota € 4,25 miliardi: un fiume di denaro che scorre prevalentemente da Sud verso 3 Regioni settentrionali dove si concentra il 93,3% dei saldi attivi”. L’autonomia differenziata, sottolinea Cartabellotta, “renderà il Mezzogiorno ancora più dipendente dalle ricche Regioni del Nord, che a loro volta rischiano di peggiorare la qualità dell’assistenza per i propri residenti, perché non potranno aumentare in maniera illimitata la produzione di servizi e prestazioni sanitarie a favore dei ‘migranti della salute’”

Inoltre i timori che i critici della legge evidenziano riguardano il fatto che una Regione, potendo chiedere maggiore autonomia su così tante materie anche tutte insieme, suscita la preoccupazione che il meccanismo possa frammentare lo Stato arrivando ad amplificare le già presenti differenze nei servizi. Si pensi proprio a sanità e istruzione. Anche perché i casi in cui sono stati scritti accordi preliminari sono esempi di richieste ampie: il Veneto ha chiesto autonomia rafforzata in tutte e 23 le materie, il Veneto in 20, l’Emilia Romagna in 16. Un elenco molto ampio che comprende materie di rilevanza nazionale e persino internazionale.

La Commissione Ue sottolinea in un documento di lavoro – redatto prima ma reso noto il giorno del via libera a Montecitorio – che “la devolution di ulteriori competenze alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese”. Il monito di Bruxelles si concentra sui LEP (i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale), “poiché garantiscono solo livelli minimi di servizi e non riguardano tutti i settori, con rischi di aumento delle diseguaglianze regionali” che già esistono tra nord e sud, ma anche tra aree urbane e periferiche.

Chi sostiene la riforma ritiene che in questo modo si dovrebbe garantire una migliore aderenza tra servizi ed esigenze specifiche dei territori, anche perché si presume che un criterio di “vicinanza” responsabilizzi maggiormente, in termini di ricadute sul consenso, i decisori locali. Per Zaia: “Il margine di crescita delle Regioni svantaggiate verrebbe premiato dall’efficienza.Se ci siamo trovati dinanzi a un Paese spesso a due velocità è proprio a causa di un eccessivo centralismo. Dovremmo investire più risorse, dice Zaia, per spiegare meglio ai cittadini i vantaggi che ci saranno con questa riforma”

 

DdL 1665 Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione

 

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