Secondo le federazioni, promuoverebbe l’uso di medicinali “per indicazioni non autorizzate solamente per motivi economici”. Efpia, Eucope ed EuropaBio presentano reclamo alla Commissione europea
Barbara Di Chiara – 11 febbraio ’15 – PharmaKronos
Le associazioni europee delle industrie farmaceutiche e biotech contro la legge italiana sull’uso ‘off label’ dei farmaci. La European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (Efpia), insieme con la European Confederation of Pharmaceutical Entrepreneurs (Eucope) e la European association for bio-industries (EuropaBio) hanno recentemente presentato un reclamo alla Commissione europea relativo alla normativa del nostro Paese che, secondo le federazioni, promuoverebbe l’uso di medicinali “per indicazioni non autorizzate solamente per motivi economici”.
La nuova normativa oggetto di lamentela, entrata in vigore la scorsa estate in Italia, prevede che l’Aifa abbia il diritto, in alcuni casi, di autorizzare l’uso ‘fuori etichetta’ anche se è disponibile un’alternativa terapeutica regolarmente approvata.
A fare ‘scuola’ è stato il caso Avastin-Lucentis per la degenerazione maculare senile. Le tre associazioni dicono che la legge italiana “infrange e non considera il sistema di autorizzazione al commercio dell’Unione europea, che protegge la salute pubblica fissando rigidi standard per la qualità, la sicurezza e l’efficacia dei farmaci”.
Inoltre, la normativa va contro una sentenza della Corte europea di giustizia secondo cui gli Stati membri “non dovrebbero gestire l’uso off label dei medicinali come misura di contenimento dei costi, nei casi in cui esiste un’alternativa approvata”. Efpia, Eucope ed EuropaBio affermano infine che il sistema italiano non sarebbe orientato alla salute del paziente e disincentiverebbe le industrie farmaceutiche nel fare ricerca su nuove indicazioni per i loro prodotti.
Big Pharma, antitrust UE approva operazione Novartis – GSK
Scritto da: Martina Mandozzi 11 febbraio 2015 – europae
L’Antitrust UE dà il via libera ad una serie di accordi nel settore farmaceutico. È stato recentemente approvato l’acquisto, per 16 miliardi di dollari, da parte della svizzera Novartisdella divisione oncologica della britannica GlaxoSmithKline (GSK), che, al contempo, acquisisce per 7,1 miliardi di dollari più le royalties il business dei vaccini del gruppo elvetico, ad esclusione di quelli antinfluenzali. I due gruppi hanno poi stretto una joint-venture, creando un’azienda leader a livello mondiale nel settore del consumer healthcare, cha va dagli antidolorifici da banco ai dentifrici, di cui Novartis possiederà una quota pari al 36,5%.
L’accordo Novartis-GSK e le conseguenze per la concorrenza
In termini di strategia, le operazioni concluse si rivelano molto importanti per il futuro posizionamento dei gruppi nel comparto sanitario. “Ci rafforzano finanziariamente e si prevede che, già nell’immediato, migliorino i nostri margini e i nostri tassi di crescita”, ha dichiarato Joseph Jimenez, CEO di Novartis. “Ci saranno vantaggi anche per i pazienti, che potranno trarre beneficio dai più alti livelli di innovazione che questo nuovo focus ci permetterà di raggiungere”.
La Commissione Europea si è mostrata inizialmente diffidente nei confronti di queste manovre, ritenute dannose per il corretto andamento del sistema concorrenziale europeo, ma anche e soprattutto per il forte impatto che possono avere sull’innovazione. L’accordo Novartis-GSK genererebbe, infatti, una situazione di duopolio tra le stesse e Roche, nell’area del trattamento del cancro alla pelle. Quindi una riduzione della concorrenza sul mercato di diversi farmaci.
Da qui la proposta da parte di Novartis di impegnarsi a cedere il MEK162 e l’LGX818, due cure specifiche per il melanoma, eliminando i problemi di concorrenza identificati dalla Commissione.
Grandi manovre nel settore farmaceutico
Cifre a nove zeri e grande dinamismo nel M&A (Mergers and Acquisitions) farmaceutico. Sempre di questi tempi la statunitense Mylan ha acquisito Abott Laboratories, forse all’interno di una strategia di “tax inversion”, mentre Pfizer volta definitamente le spalle ad AstraZeneca, dopo aver siglato, nel novembre 2014, un accordo con la casa farmaceutica tedesca Merck KGaA per 850 milioni di dollari, a cui seguiranno pagamenti in funzione dei risultati fino a 2 miliardi di dollari. Gli esperti confermano come questi “mega-deal” stiano aumentano rispetto al passato.
Ci si chiede quali siano le ragioni ultime di simili affari, anche dal punto di vista dell’antitrust. Si punterebbe alle operazioni straordinarie per nascondere, forse, l’incapacità di innovare o, quantomeno, la scarsa volontà di investire in ricerca e sviluppo.
“Non è vero che c’è sempre meno ricerca e sempre più M&A. Anzi, gli accordi sono uno degli strumenti utilizzati per sostenere le performance di R&D”, sostiene Lorenzo Positano, Associate Principal di McKinsey & Company. “Ogni azienda ha scelto quali molecole in fase di sviluppo assicurarsi sul mercato in funzione della sua ottimizzazione. Obiettivi che garantiscono un’offerta più completa nelle aree terapeutiche ‘core’ e una ricerca mirata nei segmenti in cui ci si sente più forti per investire. Quindi l’opposto del disimpegno”.