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Amgen: “Sistema sanitario inaffidabile ecco perché non investiamo in Italia”

Milano. Sono le stelle delle biotecnologie, quelle società la cui ricerca costituisce spesso la speranza di vita di molte persone alle prese con malattie incurabili. La loro storia è recente, hanno al massimo qualche decina di anni di vita, ma il loro valore è salito velocemente tanto da incalzare da vicino i colossi del farmaco, da Roche a Novartis, da Pfizer a Merck. La star del momento è la Gilead, perché sull’onda del lancio di un farmaco, il Sovaldi, in grado di combattere l’epatite C cronica, prevede nell’anno in corso di raddoppiare il fatturato portandolo dagli 11 miliardi di dollari del 2013 a oltre 21 miliardi. La numero uno per ricavi (18,7 miliardi) è Amgen che conta di mettere sul mercato nel giro di breve tempo le sue recenti scoperte. «Sono contento che sia stato sviluppato un farmaco come Sovaldi, perché permette di lottare con ottimi risultati contro una grave malattia come l’epatite C. Noi abbiamo 14 molecole in fase III, l’ultima prima della commercializzazione», spiega Francesco Di Marco, amministratore delegato della Amgen in Italia. I lanci di nuovi farmaci sono la linfa vitale di queste aziende, ma per svilupparli servono molti anni di studi. Una volta giunti sul mercato, però, i prodotti garantiscono margini notevoli, fino al 50% dei ricavi. «Noi investiamo 4 miliardi di dollari all’anno in ricerca. Certo la redditività è elevata, ma va a compensare i tempi di sviluppo, in genere dieci anni. Il costo di una molecola è in media di un miliardo di dollari». Per Amgen, la molecola attualmente più interessante è Evolocumab, utile per combattere le malattie cardiovascolari, scoperta attraverso la genetica. «Ci sono persone che non hanno problemi con il colesterolo e dagli studi è emerso che ciò è dovuto alla mancanza di un gene. Partendo da qui, abbiamo costruito una molecola in grado di abbassare il colesterolo », spiega Di Marco. Il passo successivo è rendere possibili a tutti l’accesso al farmaco, perché può capitare che alcune cure abbiano costi esorbitanti. «In Italia abbiamo legato la spesa farmaceutica all’andamento del Pil e così viene garantita la copertura. Bisogna, però, creare un sistema in cui i prodotti innovativi possano trovare ulteriori fondi. Una soluzione potrebbe essere quella di incrementare le risorse dedicate all’innovazione sostenendo un utilizzo appropriato dei farmaci generici e biosimilari», aggiunge l’amministratore delegato di Amgen. Secondo Di Marco, lo Stato potrebbe sostenere il mercato del farmaco anche offrendo meno incertezza: «Negli ultimi sei anni, 11 manovre finanziarie hanno tolto alla farmaceutica 15 miliardi di euro. Il governo dovrebbe investire sul settore con un piano triennale o quinquennale, attirando gli investimenti privati». Il panorama italiano ha molte aziende: 235 si occupano di salute, di cui 140 solo di biotech con circa 50mila dipendenti, 5.400 fanno ricerca e sviluppo. «Sono quasi tutti universitari – spiega Di Marco un humus da cui potrebbe nascere una vera e propria industria. Serve un sistema Italia che dia certezza, in modo da vedere la spesa nella farmaceutica come remunerativa». Le regole sono importanti. «Non è possibile – si lamenta Di Marco – che dopo l’approvazione del farmaco a livello europeo con l’Ema e nazionale con l’Aifa, che garantisce la rimborsabilità, si debba aspettare anche il via libera delle Regioni, sono altri due anni di attesa con danni per le aziende e i malati». Non è allora forse un caso che Amgen abbia investito in Germania e Islanda per tre centri di ricerca e ancora nulla in Italia. Qui sopra, Francesco Di Marco amministratore delegato della Amgen in Italia

02 giugno 2014 La Repubblica – R.it Economia & Finanza

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