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Allo statunitense James P. Allison e al giapponese Tasuku Honjo il Nobel per la medicina

Assegnato allo statunitense James P. Allison e al giapponese Tasuku Honjo “per la loro scoperta della terapia del cancro attraverso l’inibizione della regolazione immunitaria negativa”, che sblocca i freni che alcuni tumori riescono a imporre al sistema immunitario.

Le Scienze – 1 ottobre 2018

L’assemblea dei Nobel del Karolinska Institut di Stoccolma ha assegnato il Nobel per la medicina o la fisiologia di quest’anno a James P. Allison e Tasuku Honjo. I due ricercatori sono stati premiati per la scoperta di una terapia del cancro attraverso l’inibizione della regolazione negativa della risposta immunitaria, vale a dire la disattivazione dei “freni” che alcuni tipi di tumore riescono a imporre al sistema immunitario


Sbloccare il sistema immunitaro per combattere il cancro

Sbloccando con anticorpi mirati i freni che alcuni tipi di tumore riescono a imporre al sistema immunitario, è possibile ottenere una risposta clinica almeno in una parte dei pazienti affetti da svariate forme di cancro. La dimostrazione viene da una serie di studi clinici che hanno anche individuato un marcatore biologico che permette di prevedere con buona affidabilità l’efficacia di questo tipo di terapia.

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Risposte cliniche promettenti in pazienti con vari tipi di cancro sono state ottenuti grazie a terapie che mirano a risvegliare la risposta del sistema immunitario ai tumori. A riferirlo sono cinque nuovi studi pubblicati “Nature” che ampliano il numero dei tumori conosciuti che rispondono alle immunoterapie e aumentano le conoscenze sulle caratteristiche dei tumori che permettono di anticipare il livello di risposta dei tumori alle terapie.

Queste nuove terapie mirano in particolare a sbloccare i freni molecolari – detti anche posti di blocco o checkpoint immunitari – che normalmente impediscono al sistema immunitario di diventare troppo distruttivo aggredendo anche cellule sane dell’organismo (come avviene nelle patologie autoimmuni). Alcuni tumori hanno però la capacità di cooptare questi freni molecolari indebolendo la risposta immunitaria contro le cellule degeneri del tumore.

Sbloccare il sistema immunitaro per combattere il cancroLinfociti T che attaccano una cellula cancerosa. (© Photo Quest Ltd/ /Science Photo Library/Corbis)

A innescare queste vie inibitorie è il legame di particolari molecole, i ligandi, a due recettori, chiamati CTLA-4 e PD-1, presenti sulla superficie dei linfociti T e di altre cellule del sistema immunitario; nel caso del recettore PD-1 questo legame porta addirittura alla morte diretta della cellula.

Le nuove terapie immunologiche si basano appunto sulla somministrazione di anticorpi in grado di ostruire il sito di legame dei recettori CTLA-4 (anticorpo ipilimumab) e PD-1 (pembrolizumab e nivolumab), così da impedire che vengano raggiunti dai ligandi che li attiverebbero. Ma fino a poco tempo fa, l’efficacia di questi trattamenti era stata documentata solo in casi di melanoma e di carcinoma a cellule renali. Inoltre, non erano affatto chiari né gli esatti eventi cellulari innescati dal legame con gli anticorpi né i loro precisi obiettivi antigenici, ossia le strutture molecolari delle cellule immunitarie a cui si legano.

Thomas Powles e colleghi e da Roy S. Herbst e colleghi ampliano l’applicabilità e la sicurezza dell’uso di anticorpi che bloccano le vie immuno-inibitorie su pazienti colpiti rispettivamente da carcinoma della vescica uroteliale, e da tumore del polmone non a piccole cellule, carcinoma renale, carcinoma a cellule squamose della testa e del collo, cancro colorettale e dello stomaco, anche se risultati duraturi della terapia sono stati riscontrati solo su un sottogruppo dei soggetti trattati.

A questo sottogruppo – hanno mostrato sia Herbst e colleghi sia, in un altro studio, Paul C. Tumeh e colleghi – appartengono i soggetti nei quali il sistema immunitario aveva fatto in tempo a riconoscere l’iniziale sviluppo del tumore prima che questo riuscisse a bloccarne la risposta immunitaria. Inoltre, Tumeh e colleghi hanno anche dimostrato che analizzando i linfociti T CD8+ è possibile rilevare la presenza di un marcatore biologico che segnala se ciò è avvenuto o meno. Questo marcatore rappresenta quindi un utile predittore dell’efficaica della terapia immunologica.

Negli ultimi due articoli, Mahesh Yadav e colleghi e Matthew M. Gubin e colleghi si sono concentrati sulle caratteristiche degli antigeni che permettono l’innesco dell’inibizione della risposta immunitaria e degli antigeni tumorali che potrebbero comunque scatenarla perché fortemente immunogenici. In questo modo hanno scoperto che essi sono codificati da geni la cui mutazione difficilmente contribuisce allo sviluppo del cancro e hanno confermato l’ipotesi, già da tempo avanzata, secondo cui cambiamenti nel livello di immunogenicità delle cellule tumorali possono derivare da mutazioni “secondarie”, che però potrebbero in prospettiva diventare un ulteriore obiettivo delle terapie immunologiche.

•LA MOTIVAZIONE
I due studiosi, si legge nella motivazione ufficiale, “hanno capito che si può stimolare il sistema immunitario per attaccare le cellule tumorali, un meccanismo di terapia assolutamente nuovo nella lotta ad un tipo di malattia che uccide ogni anno milioni di persone e che costituisce una delle più gravi minacce alla salute dell’umanità”. Con questa strategia, prosegue Stoccolma “i vincitori del Nobel di quest’anno hanno scoperto un principio completamente innovativo”. L’immunoterapia è già usata nella lotta contro alcuni tumori, sia solidi che del sangue, da diversi anni, con risultati promettenti. Per Giorgio Minotti, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Biomedico di Roma, “questa scoperta riguarda la salute di moltissimi pazienti e ha un valore eccezionale. Il premio rappresenta un’investitura accelerata per il futuro di questa strategia. Visti i suoi costi, bisogna ora affrontare anche il problema della sostenibilità”. Oltre al prezzo, alcune ombre riguardano la mancata risposta da parte di alcuni pazienti. “Questo avviene senza che capiamo bene il perché. Abbiamo ancora molto da studiare su questo meccanismo” ha spiegato Minotti.

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Redazione Fedaisf

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