Sì è chiuso, definitivamente, il mondo dei farmaci blockbuster ad alta remuneratività. Saremo in grado di garantire l’accesso ai nuovi farmaci a tutti i pazienti che ne hanno necessità, preservando lo straordinario carattere solidaristico e universale della nostra sanità pubblica? Saremo in grado, anche nei prossimi anni, di premiare l’innovazione farmaceutica e sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo che promettono nuovi traguardi per la cura di patologie gravi e rare? È possibile dare una risposta a questi interrogativi mentre discutiamo di tagli e riduzioni che si abbatterebbero su budget già duramente messi alla prova?
Stupore e incredulità. È la reazione in cui ci imbattiamo più di frequente quando raccontiamo ai nostri colleghi stranieri che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) Italiano, si fa carico di una quota ben superiore al 75% della spesa complessiva per i farmaci ed è l’unico ancora in grado di garantire a tutti i cittadini (e anche agli immigrati clandestini) le cure fondamentali.
Se così fosse, nei prossimi tre anni il finanziamento dell’assistenza farmaceutica subirebbe una contrazione di 215 milioni di euro (circa 70 milioni di euro l’anno) che potrebbe sembrare ben poca cosa se, nei medesimi tre anni, non vi fossero farmaci rilevanti in registrazione. Oltretutto questa eventuale “manovra” peserebbe in maniera significativa sulla spesa farmaceutica ospedaliera, che risulta già significativamente oltre il tetto del 3,5%, mentre per la spesa territoriale l’effetto potrebbe forse essere più contenuto, visto che si tratta di una voce “sotto apparente controllo” ma le terapie che si stanno rendendo disponibili (e quelle che si renderanno disponibili nel corso del prossimo anno) potrebbero cambiare questo scenario e generare una spesa incrementale del SSN certamente superiore agli avanzi attualmente stimati rispetto al tetto anche della
È evidente che un tale scenario renderebbe sempre più impervio garantire ai cittadini gratuitamente l’accesso ai nuovi farmaci, che nella maggior parte dei casi andrebbero proprio a collocarsi all’interno della spesa ospedaliera. Per quest’ultima componente il disavanzo rispetto al tetto previsto del 3,5% per i prossimi tre anni potrà ammontare da un minimo di 3,5 miliardi a un massimo di 6,8 (proiettando un tasso di crescita stimato di circa il 10% della spesa farmaceutica per gli anni 2015-16, che corrisponde al tasso di crescita del primo semestre 2014 e considerando i prodotti in arrivo).
Se tutte queste cifre non fossero sufficienti, a rendere l’analisi più complessa, come ha rilevato anche il Ministro della Salute, c’è il fatto che siamo alle soglie di una rivoluzione del settore farmaceutico. Una serie di innovazioni, nate nei laboratori e nei centri di ricerca negli ultimi dieci anni, stanno arrivando sul mercato mondiale e europeo, tutte con procedura centralizzata. Si tratta di prodotti eterogenei, alcuni dal potenziale terapeutico elevato e con costi altrettanto importanti, capaci di scuotere dalle fondamenta i calcoli e i ragionamenti consolidati ma, soprattutto, i modelli utilizzati sinora.
Saremo in grado di rimborsarli tutti? Saremo cioè in grado di garantire l’accesso a tutti i pazienti che ne hanno necessità, preservando lo straordinario carattere solidaristico e universale della nostra sanità pubblica? Saremo in grado, anche nei prossimi anni, di premiare l’innovazione farmaceutica e sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo che promettono nuovi traguardi per la cura di patologie gravi e rare? È possibile dare una risposta a questi interrogativi mentre discutiamo di tagli e riduzioni che si abbatterebbero su budget già duramente messi alla prova?
Intanto un altro mondo sì è chiuso, definitivamente, alle nostre spalle. È quello dei farmaci blockbuster ad alta remuneratività (oltre 1 miliardo di dollari anno) perché ad ampio spettro di utilizzo pur con costi per confezione relativamente contenuti se confrontati con i prodotti in arrivo. Il periodo in cui l’industria coglieva i “frutti dai rami più bassi” è tramontato. Oggi si studiano e si sviluppano farmaci biotecnologici “personalizzati” su genotipi di precisione che dovrebbero agire su obiettivi selettivi.
Per il nuovo mondo, occorrono quindi nuovi paradigmi e nuove strategie. Dobbiamo avere il coraggio di affermare, con chiarezza, che la quota del FSN dedicata certamente ai farmaci di uso ospedaliero e molto probabilmente a quelli di uso territoriale non sarà più adeguata se si vuole garantire l’accesso dei pazienti a prodotti con un vero potenziale di innovazione terapeutica. Sarebbe riduttivo pensare che poche misure per quanto puntuali possano essere capaci di portarci indenni attraverso un futuro popolato di incognite. La chiave di volta potrebbe stare in un cambiamento, proprio a livello Europeo, che invita gli Stati membri a rendere quanto più possibile omogenee le proprie procedure di definizione del prezzo e rimborso dei farmaci e che sperimenta, tramite l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), nuove modalità di autorizzazione all’immissione in commercio.
L’intero sistema regolatorio continentale è impegnato a mettersi in discussione per ridefinire le regole del gioco, con la consapevolezza che bisognerà tornare a farlo ogni volta che una serie di “disruptive innovations” ridisegnerà gli equilibri faticosamente raggiunti. Anche il nostro Paese dovrà farsi trovare pronto, dimostrando di essere in grado di reagire per tempo alle sollecitazioni dell’innovazione farmaceutica e offrendo le risposte adeguate alla legittima domanda di salute della popolazione.