Su quali basi la Gilead Sciences ha deciso il prezzo di lancio del Sovaldi, nome commerciale del sofosbuvir? Due senatori USA della Commissione Fimanze non hanno usato mezze misure, arrivando a denunciare come l’Azienda abbia calcolato il prezzo di “posizionamento” iniziale del suo farmaco seguendo l’unico obiettivo della massimizzazione del profitto, a prescindere dalle conseguenze sulle persone e sui sistemi sanitari.
Abbiamo appena pubblicato, come ogni martedì, l’aggiornamento sul numero dei trattamenti con i nuovi farmaci per la cura dell’Epatite C (HCV) e questi numeri ci danno modo di tornare sul “caso sofosbuvir” per testimoniare come l’articolata cronaca dell’introduzione di questo innovativo trattamento contro l’HCV condizioni ancora l’agenda di governi, enti regolatori, aziende, medici e soprattutto pazienti di tutto il mondo cui dobbiamo rispondere. Vorremmo aggiungere un ulteriore tassello alla storia della commercializzazione di un farmaco che ha costituito una sorta di punto di non ritorno, un precedente senza eguali, per aver messo in discussione i sistemi sanitari globali, alle prese con la delicata valutazione di come attribuire un prezzo adeguato ad un trattamento che promette di eradicare una seria patologia, nel rispetto del principio di equità di accesso alle cure e della sostenibilità dei conti pubblici.
Un principio indiscutibilmente comune sottende una domanda fondamentale: come coniugare il diritto inviolabile alla salute con l’assegnazione di un “giusto prezzo”, in grado di premiare l’innovazione e allo stesso tempo salvaguardare l’equilibrio dei sistemi di welfare?
Ne avevamo scritto diciotto mesi fa chiedendoci su quali basi la Gilead Sciences avesse deciso il prezzo di lancio del Sovaldi – nome commerciale del sofosbuvir – nello stesso momento in cui per gli stessi motivi, negli USA, il presidente della Commissione Finanza del Senato Ron Wyden e il commissario Chuck Grassley, iniziavano un’indagine conoscitiva formale nei confronti dell’Azienda. Dopo un anno e mezzo di un’inchiesta che ha analizzato oltre 20 mila pagine di documenti forniti prevalentemente e in meno di 60 giorni dalla richiesta, dalla stessa Gilead, dopo decine di interviste con esperti sanitari e un’enorme mole di dati provenienti dal programma di assistenza sanitaria pubblica Medicaid di 50 Stati e dal distretto di Washington D.C., i due senatori non hanno usato mezze misure, arrivando a denunciare come l’Azienda abbia calcolato il prezzo di “posizionamento” iniziale del suo farmaco seguendo l’unico obiettivo della massimizzazione del profitto, a prescindere dalle conseguenze sulle persone e sui sistemi sanitari.
Nella corrispondenza, nei verbali delle riunioni o nelle presentazioni – hanno ribadito i Senatori Wyden e Grassley durante una conferenza stampa dedicata ai risultati dell’indagine – emerge che nella definizione del prezzo del farmaco non sono state considerate le questioni finanziarie di base, i costi per ricerca e sviluppo o l’acquisizione pure multi-miliardaria di Pharmasset, la società che per prima aveva sviluppato il medicinale. Gilead era consapevole che ad un prezzo di lancio pari a 84.000 $ per 12 settimane di trattamento il farmaco sarebbe stato fuori dalla portata di milioni di persone e avrebbe causato certamente problemi ai programmi assistenziali Medicare e Medicaid negli USA, ma è andata comunque avanti.
Temiamo che se l’approccio di Gilead applicato nella definizione del prezzo di Sovaldi rappresentasse la strategia futura per il lancio sul mercato di altri farmaci potenziali blockbuster, questo comporterebbe oneri della grandezza di decine di miliardi di euro per il trattamento di una parte limitata di pazienti. Il senatore Wyden a tale proposito ha affermato: “L’America ha bisogno di cure per il cancro, l’Alzheimer, il diabete e l’HIV. Se queste cure sono inaccessibili e fuori dalla portata di milioni di persone che ne hanno bisogno, il Congresso verrà meno alla responsabilità che ha nei confronti del popolo americano”.
Sarà questo lo scenario anche per il nostro SSN?
Possiamo girarci attorno sino a quando vogliamo, ma pare che tutto il dibattito possa incentrarsi su due sole parole chiave: Trasparenza e Responsabilità. Due parole che, a nostro modo di vedere, sono cruciali nel governo delle politiche del farmaco. Rendere disponibile, per la prima volta dopo decenni, un medicinale con un profilo beneficio/rischio tanto favorevole e quindi con effetti avversi limitati rispetto ai trattamenti precedentemente disponibili (come dimostrato da un recente studio pubblicato sul New England Journal of Medicine) e in condizioni di assoluta mancanza di concorrenza costituisce il banco di prova per il senso di Trasparenza e Responsabilità di coloro che vogliono ricavarne un giusto profitto. Giusto, ma non immenso.
Negli USA Sovaldi è rimasto sul mercato per quasi un anno senza concorrenza (in Italia siamo stati più bravi e nel volgere di pochi mesi la concorrenza era sul mercato), permettendo all’Azienda di mantenere un prezzo molto elevato, nonostante i tentativi di programmi sanitari e persino delle compagnie assicurative di negoziare sconti o accordi di prezzo per volume di trattamenti. Nel solo 2014 il programma di copertura sanitaria federale Medicaid ha dovuto spendere 1.3 miliardi di dollari, prima di poter accedere ai primi sconti sul farmaco, riuscendo a garantire il trattamento con Sovaldi a meno del 2,4% dei circa 700.000 assistiti affetti da epatite C (a fronte di almeno 5 milioni di persone positive al virus). Nonostante nel 2015 la Gilead abbia applicato una serie di sconti progressivi, spinta anche dalla disponibilità di nuovi trattamenti per l’HCV dei suoi competitors, che hanno scalzato Sovaldi e Harvoni dalla lista dei farmaci di prima scelta inclusi nelle coperture assicurative, i ricavi dell’Azienda hanno comunque continuato a registrare cifre a nove zeri. A questo proposito, vale la pena ricordare che Gilead ha fatturato più di 12 miliardi di dollari nel 2014 e oltre 14 in soli nove mesi del 2015 (ma le stime prevedono una chiusura d’anno intorno ai 19 miliardi per i soli trattamenti anti-HCV), raggiungendo in 21 mesi un fatturato di 26,6 miliardi di dollari, di cui 20,6 derivanti dalle vendite negli USA. Nessuno degli analisti finanziari, probabilmente neppure all’interno dell’Azienda, aveva previsto questi numeri.
Gli editori del NEJM, citando i risultati dello studio summenzionato che dimostrano efficacia e semplicità di un nuovo trattamento in associazione con il sofosbuvir, esprimono una lapalissiana ed essenziale verità: nessun paziente guarirà mai se non potrà prendere un farmaco salvavita che costa troppo. Il che equivale a dire: che giovamento può mai offrire una terapia innovativa se resta letteralmente “fuori dalla portata” dei malati o dei sistemi assistenziali? Nessuno.
A conclusione dell’indagine della Commissione Finanza del Senato americano emerge più di un interrogativo, di tipo politico, economico-sociale, ma anche morale. Soprattutto abbiamo il dovere di chiederci se, per ogni nuovo promettente trattamento che arriverà, abbiamo sufficiente conoscenza sul suo costo effettivo, sul bacino di pazienti che possono beneficiarne e sulla sua reale maggiore efficacia. Cosa significa davvero “valore” nella definizione del prezzo di un farmaco e quali strumenti possono essere messi in campo per sostenere la massima trasparenza dei processi di negoziazione garantendo allo stesso tempo i necessari incentivi per coloro che sviluppano nuove terapie tanto efficaci?
I senatori americani dedicano un particolare riguardo alle popolazioni a basso reddito e alla sostenibilità dei programmi assistenziali. Non è il caso dell’Italia, unica al mondo per il suo Servizio Sanitario Nazionale a carattere, per il momento, universale e solidaristico. All’appello per una maggiore trasparenza aderiamo con convinzione, perché a breve saranno disponibili sempre più farmaci innovativi per la cura del cancro, delle demenze – solo per citarne alcuni – e avere chiarezza di informazioni dei costi sostenuti per il loro sviluppo per calcolarne un equo profitto diventerà fondamentale.
Dall’esperienza del “caso sofosbuvir” l’AIFA, grazie alle sue commissioni (CTS e CPR) e all’aiuto delle società scientifiche e delle associazioni dei pazienti, ha tratto lezioni importanti: da un lato è stata un’opportunità per delineare e applicare nuovi paradigmi di definizione di un prezzo adeguato, in ragione del grado di innovatività di questa nuova molecola e di effettiva salute prodotta, dall’altro è stata seguita una strategia di negoziazione del prezzo del Sovaldi tenendo in considerazione tutte le altre alternative terapeutiche valide che sarebbero state di lì a poco disponibili.
Questo forse perché L’AIFA è stata anche la prima Agenzia europea a ritenere la richiesta economica iniziale dell’Azienda produttrice eccessiva e improponibile, sotto il profilo etico oltre che finanziario. Basti ricordare che per consentire l’accesso alla cura sono stati necessari fondi aggiuntivi, che il Ministro della Salute ha richiesto e difeso con prontezza e lungimiranza e sono state poste le basi per un piano di salute pubblica ambizioso per tentare di eradicare l’epatite C in Italia in un futuro molto prossimo.
Tale piano dovrebbe ragionevolmente svilupparsi nei prossimi anni, periodo nel quale è auspicabile che sia possibile una definizione migliore del reale numero dei pazienti eleggibili anche attraverso l’adozione di screening che consentano di evidenziare la presenza del virus prima dello sviluppo della malattia di organo e soprattutto di verificare gli effetti di tutti i trattamenti a disposizione nella pratica clinica reale, grazie ai Registri di Monitoraggio. Proprio nell’ottica di una sempre maggiore trasparenza, è stata avviata lo scorso 22 dicembre un’iniziativa di informazione costante settimanale sul sito istituzionale dell’AIFA, sullo stato di avanzamento dei trattamenti per l’HCV in Italia. Alla data del 25 gennaio risultano avviati al primo trattamento, tra cinque terapie disponibili, oltre 32.500 pazienti (in base ai diversi criteri di eleggibilità), 2.350 in più rispetto al mese precedente, con un trend medio di aumento settimanale di oltre 500 pazienti. Ad oggi, 26.590 sono quelli in trattamento con i medicinali Sovaldi e Harvoni.
In questo modo tutti sanno che ci stiamo avvicinando alla fine del contratto dei primi 50.000 pazienti con sofosbuvir e ledipasvir (Sovaldi e Harvoni) che valeva 750.000.000 di euro e che scade alla fine del prossimo giugno, con dei prezzi sempre più favorevoli a vantaggio del nostro SSN soprattutto ora che ci approssimiamo alle fasce di sconto prezzo/volume molto più convenienti. In queste condizioni che cosa farà l’Azienda che si è arricchita più di qualunque altra nella storia della farmaceutica dal lancio globale nei primi anni di un suo farmaco? Terrà fermi gli sconti per consentirci di trattare il numero massimo di pazienti italiani o inizierà una nuova negoziazione cercando di riaumentare ancora una volta il proprio profitto?
Staremo a vedere e ve lo faremo sapere. Le luci sono accese e si chiamano appunto Trasparenza e Responsabilità, da parte di tutti.
Luca Pani
Leggi il comunicato stampa della Commissione Finanza del Senato americano
Leggi l’editoriale del NEJM e l’abstract dello studio sull’efficacia di sofosbuvir e velpatasvir
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