Una determina molto sofferta. Si tratta dell’atto dell’Aifa sull’equivalenza terapeutica, quello che dovrebbe permettere alle Regioni di mettere a gara tra loro farmaci con principi attivi differenti ma con la stessa indicazione e senza che esistano studi di superiorità. Ovviamente poter procedere con bandi in cui si mettono in competizione prodotti diversi ma dai risultati simili sulle stesse patologie porterebbe a un risparmio, e ovviamente l’industria non vede di buon occhio l’atto, anzi lo osteggia apertamente visto che tempo fa ha minacciato di fare ricorsi su ricorsi.
Il direttore uscente di Aifa, Luca Pani, aveva pubblicato la determina il 31 marzo scorso per poi sospenderla nel giro di pochi giorni. Si è deciso a causa delle criticità “da pià parti e notiziate anche al ministero della Salute”, prendendosi tempo per valutare la situazione. L’atto però è richiesto da una legge del 2012 dell’allora ministro Balduzzi e l’Aifa difficilmente lo potrà ritirare: a novembre sarà necessario prendere una decisione definitiva. Pani è in uscita e probabilmente si lascerà alle spalle questa storia piuttosto scomoda.
Da una parte l’esigenza del sistema di contenere i costi mantenendo il miglior livello di cura possibile per i pazienti, dall’altra l’industria che vuole fare profitti e muove le sue pedine. Giusto oggi Federanziani, una della associazioni di pazienti più attive, che riceve contributi economici importanti dal mondo dell’industria farmaceutica, si è schierata chiedendo il ritiro di questa determina, dopo essere andata a parlare direttamente con il presidente dell’Agenzia del farmaco Mario Melazzini.
Attenzione, non parliamo di una novità assoluta. Già da qualche anno in Italia si facevano gare per equivalenza terapeutica. C’erano Regioni che attraverso un bando sceglievano quale farmaco usare, ad esempio per contrastare il colesterolo, tra i tanti presenti sul mercato con gli stessi effetti. Ovviamente il vincitore copriva solo una certa percentuale di fabbisogno, perché si lasciava comunque la possibilità (per circa il 20-30% dei pazienti) di avere una terapia diversa sulla base dell’attestazione del medico. La legge Balduzzi ha delegato all’Aifa il compito di stabilire i criteri in base ai quali i farmaci diversi possono essere considerati equivalenti. Ma l’Aifa adesso, o meglio da quattro anni, deve fare la determina.
A breve si capirà se le pressioni dell’industria e delle pedine che è in grado di muovere avranno la meglio su una legge e se l’Agenzia del farmaco, che attende nuovi vertici e con loro quindi un nuovo modo di lavorare, piegherà il capo oppure no.
(Una postilla: vedo che i sindacati dei medici di famiglia si schierano per il ritiro della determina. Ma i farmaci presi in considerazione sono prevalentemente ospedalieri, non hanno a che fare quindi con quei professionisti)
Michele Bocci – 19 ottobre 2016 – R.it Blog
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