“Il settore farmaceutico ha registrato in Italia una perdita del 22% della forza lavoro, pari a 14mila occupati in meno – spiega Fabrizio Rigoldi, segretario generale di Ugl Milano – per lo più tra gli informatori scientifici”. Disoccupati che non fanno rumore, perché dispersi in una miriade di aziende di piccola-media dimensione.
3 OTTOBRE 2015 | di Camilla Gaiaschi | CORRIERE DELLA SERA / Blog
Sono “solo” 44 ma valgono oro. I lavoratori di Adare Pharmaceuticals in odore di esubero sono quasi tutti ricercatori, “cervelli” che il governo dice di voler far rientrare ma che non riusciamo neppure a trattenere. Il loro destino è appeso a un filo e ha un valore simbolico: un’altra fetta di know how italiano (a valore aggiunto) che se ne va.
Ieri un centinaio di lavoratori hanno protestato di fronte ad Assolombarda, dove i vertici aziendali e i sindacati hanno chiuso l’incontro con nulla di fatto: “L’azienda è rimasta sulle sue posizioni – spiega Alessandro Maucci, RSU di Adare – il piano sarà attuato con o senza accordo”.
Ai sindacati non resta che contrattare sul rientro degli esuberi. Il prossimo incontro è previsto per il 9 ottobre: “Lo sforzo sarà quello di rendere il più indolore possibile la transizione per le persone che rimangono fuori dall’azienda”.
Su di loro persino l’assessorato alle Attività Produttive di Regione Lombardia, che ieri ha incontrato le parti sociali, vuole vederci chiaro. Un’interrogazione parlamentare firmata 5 stelle è stata depositata. Perché il dislocamento della ricerca da Pessano con Bornago (uno dei due siti produttivi italiani di Adare, l’altro è a S. Donato, sempre nel milanese) a Vandalia, negli Usa, è la punta di un iceberg.
“A causa delle delocalizzazioni negli ultimi sette anni il settore farmaceutico ha registrato in Italia una perdita del 22% della forza lavoro, pari a 14mila occupati in meno – spiega Fabrizio Rigoldi, segretario generale di Ugl Milano – per lo più tra gli informatori scientifici”.
Disoccupati che non fanno rumore, perché dispersi in una miriade di aziende di piccola-media dimensione, “ma è necessario avere una visione d’insieme – incalza Rigoldi – continuiamo a perdere parti importanti del tessuto scientifico di questo paese”.
Adare Pharmaceuticals oggi conta 267 dipendenti e ha una storia di eccellenza alle spalle. Nasce negli anni Sessanta proprio da un gruppo di ricercatori italiani. Passa poi in mani americane e negli anni ’90 il management la rileva, investendo in maniera lungimirante nella ricerca e sviluppo. In pochi anni diventa leader nei farmaci di rilascio e nella pancreatina.
Quest’ultima fa gola ai fondi di investimento. E dal 2011 l’azienda entra nel turbinio dei private equity: viene venduta al fondo Usa TPG per poco meno di 600 milioni di dollari, dopo tre anni rivenduta per 2,9 miliardi a Forest Lab, che nel frattempo viene acquisita da Actavis.
Nel 2015 TPG riacquista una piccola parte dell’azienda, quella specializzata nel farmaco di rilascio, mentre le attività sulla pancreatina rimangono in mano ad Actavis. “In questi anni è mancata una logica industriale di lungo termine – precisa Alessandro Maucci – il punto in questi passaggi è sempre stato quello di ristrutturare per rivendere a stretto giro”.
E’ quanto si rimprovera ai private equity che entrano nella manifattura: di cercare il profitto nel breve termine anziché di concentrarsi sulla crescita di lungo termine. Oggi il prezzo lo pagheranno i ricercatori italiani.
Twitter@camillagaiaschi
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