Si prenda una casa farmaceutica che abbia un prodotto di successo il cui brevetto sta per scadere, magari non domani ma presto; si consideri anche un produttore di generici che scalpiti per dare il via alla sua versione e, magari, sia pronto a contendere l’esclusiva in tribunale. Perché non accordarsi per evitare l’introduzione del generico a fronte di un congruo versamento una tantum? Il produttore del brand conserva la redditività della sua specialità e il genericista incassa senza spendere nulla. Il sistema apparentemente mette tutti d’accordo, ma con un costo per la collettività che La Federal Trade Commission ha giudicato eccessivo e nel costo per la collettività fa rientrare anche la violazione delle leggi antitrust. E così ai primi di febbraio la Commissione, i cani da guardia del Governo come li chiama Fortune, ha intentato un’azione legale avanti la Corte federale di Washington contro la Cephalon, il produttore del Provigil (modafinil) farmaco su piazza dal 2000, che ha visto ampliare le sue indicazioni dall’iniziale trattamento della narcolessia (con un bacino di utenza di 150.000 persone in tutti gli Stati Uniti,) al trattamento delle alterazioni del ritmo sonno veglia tipiche dei lavoratori che operano nei turni notturni. Grazie a quest’ultima indicazione la popolazione trattabile saliva a circa due milioni di lavoratori turnisti ai quali però, secondo alcuni commentatori, va anche aggiunto il personale delle forze armate. Nel 2006 il farmaco ha fatturato 760 milioni di dollari, il 44% del fatturato dell’azienda.
L’accusa è che la Cephalon avrebbe versato oltre 200 milioni di dollari per distogliere quattro produttori, Teva (TEVA) Pharmaceutical Industries, Barr Pharmaceuticals, Ranbaxy e Mylan, dal lancio del modafinil.
Ovviamente non si tratta di non produrre affatto il farmaco, ma di attendere la scadenza naturale del brevetto, prevista nel 2012. Il fatto è che da quando, nel 1984, I brevetti sono divenuti contendibili in tribunale, la perdita dell’esclusiva in anticipo sulla programmazione è divenuto uno spauracchio, che si può anche affrontare a muso duro, ma con notevoli costi (probabilmente, viste le parcelle degli studi associati statunitensi, costa più l’assistenza legale che la produzione). Peraltro sono anni che il Governo cerca di perseguire questo genere di accordi, ma soltanto 2 corti federali su 11 si sono pronunciate contro questa pratica. Tanto è vero che la posta in gioco anche nel processo Cephalon è più ambiziosa: ottenere una pronuncia che faccia precedente una volta per tutte, dopo che la Corte Suprema aveva rifiutato di schierarsi con il Governo quando esaminò la vertenza relativa all’accordo tra AstraZeneca e Barr a proposito del tamoxifen. Senza contare che una commissione del Senato ha recentemente approvato una proposta di legge bipartisan che proibisce questo genere di accordi. Il Senato non ha ancora calendarizzato l’esame del provvedimento, ma anche alla Camera ne è stato presentato uno analogo.
Il poderoso apparato di lobbing dell’industria farmaceutica statunitense, il PHRMA, ha obiettato che la messa al bando degli accordi sul brevetto porterebbe a una riduzione dell’attività di ricerca. Ken Johnson, vice presidente anziano della PHRMA, ha poi insistito sul fatto che una legge non è necessaria, in quanto la FTC ha mezzi e autorità per esaminare caso per caso questi accordi ed eventualmente perseguirli in tribunale se si ravvisano violazioni delle leggi sulla concorrenza. Posizione comprensibile, visto che anche i tempi della giustizia statunitense, pur se ben lontani da quelli italiani, lasciano una bella libertà di manovra. Il problema comunque esiste e non soltanto negli Stati Uniti, visto che la Commissione Europea ha avviato un’indagine analoga, o più pr