Mentre stanno per scadere i brevetti di diversi tarmaci importanti, le modeste novità messe in circolazione vengono ancora dalla sintesi chimica tradizionale. Vediamo le ragioni dello stallo in cui si trova oggi la ricerca farmaceutica, nonostante i continui annunci di grandi scoperte nei nuovi campi delle biotecnologie
Si parla molto oggi di nuove terapie che deriveranno da genomica, farmacogenetica, proteonica, dalle biotecnologie e dalle ricerche sulle cellule staminali. Ma nel riscontro pratico, da diversi anni, sono assai pochi i farmaci davvero innovativi che vediamo arrivare sul banco della farmacia. Due contributi sono venuti a gettare un poco di luce su questa discrepanza, su questo "gap" che tutti tocchiamo con mano: un convegno internazionale tenuto a Erice nell’estate scorsa e un’intervista a Silvio Garattini, direttore del Mario Negri, nonché coordinatore della Commissione scientifica dell’Alfa, apparsa poco dopo sul supplemento "Affari e Finanza" del quotidiano "La Repubblica". Non accontentarsi Già una ricerca sull’innovazione farmacologia, pubblicata nel 2005 dal Censis e dal Forum della Ricerca biomedica, metteva in evidenza come i medici si siano ormai adattati a considerare "innovativo" un medicinale non nuovo, ma che sia soltanto meglio tollerato dai pazienti, o un analogo che consenta di diminuire le dosi. Ma nella stessa ricerca, l’88% dei curanti, dichiarava che è il "miglioramento della qualità della vita dei pazienti" l’obiettivo cui deve tendere l’innovazione in fatto di medicinali. Nella realtà odierna, l’industria farmaceutica sta vivendo un momento di difficile transizione. Sta, infatti, scadendo il brevetto di un buon numero di farmaci importanti, mentre la ricerca non riesce a scoprire nuove molecole. E le modeste novità che vediamo, vengono ancora dalla sintesi chimica tradizionale. Secondo Garattini, c’è il pericolo che le aziende finiscano in crisi finanziaria e siano costrette a rallentare ricerche che sono invece vitali per tutta l’umanità. E’ vero, la scienza sta facendo passi enormi, ma da qui all’immissione sul mercato di farmaci veramente nuovi ce ne corre. Sono illusone le aspettative di novità imminenti, alimentate con continue notizie amplificate dai "media", di scoperte fatte da ricercatori in cerca di notorietà (e fondi). Purtroppo, da qualche tempo, "la maggior parte delle nuove terapie che arrivano sul mercato sono quelle contro i tumori. Sono però terapie ancora parziali e imperfette", precisa Garattini, "che al massimo concedono al paziente uno o due mesi di vita in più. Vengono però ugualmente lanciate perché sono costosissime, nell’ordine anche di decine di migliaia di euro per ogni sessione terapeutica. Un trattamento terapeutico completo può arrivare a 500 mila euro. Finisce che le industrie vi puntano proprio per i lucrosi margini che assicurano, e trascurano la ricerca verso farmaci più risolutivi, che avrebbero ben altro impatto sulle sorti dell’umanità". Sempre secondo l’illustre farmacologo, bisogna riconoscere che il brevetto di 20 anni può essere troppo breve, dato che almeno la metà del tempo se ne va per la fase sperimentale e pre-clinica. D’altro lato, si potrebbe studiare qualche meccanismo che scoraggi la tendenza ad apportare minime variazioni a una molecola vecchia per farla diventare "nuova" e venderla con più profitto. II Documento di Erice Stando al Documento scaturito dal "Workshop on Drug Innovation" di Erice, una possibile definizione di farmaco "innovativo" potrebbe essere questa: "quel processo che determina un miglioramento introducendo qualcosa di nuovo, che porti potenzialmente un beneficio agli utilizzatori, con un impatto tangi