Ricerca più veloce e meno costi: le aziende investono da tempo su questa tecnologia
BASILEA – L’intelligenza artificiale (IA) potrebbe rivoluzionare lo sviluppo di medicinali, accelerando la ricerca e riducendo i costi. Per questo motivo le aziende farmaceutiche stanno investendo molto nel settore.
Non una moda – Modelli linguistici su larga scala come ChatGPT o generatori di immagini come Stable Diffusion hanno ormai lanciato il tema dell’IA anche presso il grande pubblico, ma le società biotecnologiche e l’industria dei medicamenti è già da tempo sul pezzo. Secondo una stima le conoscenze mediche raddoppiano ogni 73 giorni: ciò è dovuto non da ultimo agli otto-diecimila lavori scientifici che vengono pubblicati ogni giorno in tutto il mondo, riferisce l’Associazione delle aziende farmaceutiche attive nella ricerca (Verband Forschender Arzneimittelhersteller, Vfa, con sede a Berlino).
Le capacità umane non sono sufficienti per utilizzare questa massa di informazioni, indica all’agenzia Awp Anna Bauer-Mehren, responsabile di PRED, centro di innovazione di Roche. Il colosso basilese si affida quindi da tempo alla ricerca assistita da computer. «La matematica alla base dell’IA non è nuova, risale agli anni Cinquanta», osserva la specialista. Negli anni Ottanta si è aggiunto l’apprendimento automatico (machine learning, ML) che, col tempo, è diventato possibile su larga scala grazie alla maggiore potenza di calcolo.
Lo sviluppo – Secondo Bauer-Mehren, l’IA può essere utilizzata in tutte le fasi dello sviluppo. Nella sua divisione, si ricorre a essa lungo l’intera catena di ricerca. «Si comincia con la domanda su come trovare il bersaglio giusto», spiega Bauer-Mehren. Nella ricerca farmaceutica, un bersaglio rappresenta il punto del processo patologico in cui una sostanza attiva potrebbe intervenire: di norma, si tratta di una molecola che svolge un ruolo importante nel processo patologico.
L’intelligenza artificiale viene utilizzata anche per lo sviluppo di tali molecole, prosegue l’esperta. «Per questo ci sono modelli che prevedono se il preparato avrà determinate proprietà e come e dove dovrebbe legarsi meglio». In questo caso, l’IA aiuta anche a capire se la molecola potrebbe legarsi a tessuti causando effetti collaterali. «In sintesi, possiamo dire che con l’aiuto dell’IA possiamo generare previsioni che ci aiutano a trovare più rapidamente le molecole migliori, con le esatte proprietà desiderate».
La rapidità – Ed è proprio questo che rende queste nuove tecnologie così affascinanti agli occhi delle imprese: la rapidità. Basti pensare che di norma sono necessari fino a tredici anni affinché un medicinale arrivi effettivamente sul mercato, dall’idea iniziale passando per tutte le fasi della ricerca. Il tasso di fallimento è superiore al 90% e i costi si aggirano tra i 2,5 miliardi e i 3 miliardi di dollari (2,2-2,6 miliardi di franchi al cambio attuale) per ogni principio attivo.
Con l’uso dell’intelligenza artificiale, le aziende sperano ora di accorciare questo orizzonte temporale e di ridurre i costi. La società finanziaria americana Morgan Stanley (MS) ha recentemente calcolato in uno studio che l’uso dell’IA permetterà di comprimere gli oneri di ricerca e sviluppo del 20-40%. Anche la prospettiva del potenziale successo di un farmaco gioca un ruolo importante, che può essere determinato in modo ancora più preciso.
Entrambi gli aspetti sono rilevanti per l’insieme dei sistemi sanitari, argomenta Bauer-Mehren. «Quanto più velocemente riusciamo a sviluppare un farmaco di qualità superiore e a costi inferiori, tanto maggiore sarà il beneficio finale per il paziente e per il sistema nel suo complesso».
Le probabilità di successo – L’IA può anche aiutare a determinare meglio le prospettive di successo di una terapia. Per esempio, quando si tratta della revisione clinica di un candidato farmaco, l’IA può già fare una sorta di preselezione su quali pazienti siano più o meno adatti a partecipare al programma.
La questione dei dati – Per questo è importante che siano disponibili dati sufficienti. Ed è proprio qui che l’industria farmaceutica si sta scontrando con dei limiti. La ricercatrice di Roche porta l’esempio del trattamento del cancro: «Solo il 5% dei dati potenziali in questo campo terapeutico è generato da aziende di ricerca e istituzioni accademiche, il restante 95% è in circolazione nel sistema sanitario, negli ospedali e tra i rispettivi medici curanti». Ma per comprendere davvero il tumore, o qualsiasi altra malattia, sarebbe importante riunire proprio questi dati.
Dello stesso avviso è anche Michael Altorfer, numero uno dell’Associazione svizzera delle biotecnologie (Swiss Biotech Association). Sarebbe importante non solo raccogliere più dati, ma anche metterli a disposizione dei numerosi attori del sistema sanitario. «Solo se raccogliamo una quantità sufficiente di informazioni e ne garantiamo la qualità, l’IA potrà utilizzarli per trarre conclusioni affidabili»”.
Poiché non esistono grandi banche dati generalizzate sui pazienti, le aziende devono affidarsi alla cooperazione e all’acquisto di informazioni. Secondo le stime degli esperti di Morgan Stanley, più della metà delle imprese del settore sanitario si affida a fornitori esterni quando si tratta di IA o apprendimento automatico. L’anno scorso circa il 5,7% del budget per la ricerca è stato speso nell’ambito AI/ML: secondo MS la quota salirà all’8,2% quest’anno e a circa il 10,5% del budget operativo totale l’anno prossimo.
Un esempio fallimentare – L’IA non è peraltro una garanzia di successo. Ad esempio, stando al quotidiano tedesco Handelsblatt, Novartis ha ridimensionato il suo ambizioso progetto “Data 42”, lanciato nel 2019. L’obiettivo era quello di utilizzare l’IA nella ricerca di nuovi farmaci, ma è stato un fallimento, secondo la testata finanziaria. La settimana scorsa, in risposta a una domanda su “Data42”, il responsabile finanziario del gigante renano Harry Kirsch ha ammesso che il piano originale si è rivelato troppo complesso per il gruppo.
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