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Cassazione. Sperimentazione clinica. Responsabilità della casa farmaceutica, del medico sperimentatore o dell’azienda ospedaliera?

Due sentenze della Cassazione hanno riguardato questi argomenti

Corte di Cassazione ordinanza n.18283/2021 – Consenso informato

Il primo è  Cassazione Civile Ord. Sez. 3 Num. 18283 Anno 2021

In cui “La Suprema Corte ha affermato che al fine di non incorrere in responsabilità, il medico è tenuto ad assolvere l’onere di fornire al paziente un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, con riferimento in particolare al tipo di terapia da effettuarsi e alle relative possibili complicanze, ivi compresa quella affettivamente verificatasi, ai fini della libera e consapevole autodeterminazione del medesimo in ordine alla relativa accettazione, una volta reso edotto delle alternative prospettabili in ragione del completo quadro della vicenda”. FNOMCeO – 1 luglio 2021


Sperimentazione clinica e responsabilità della casa farmaceutica

Il secondo è Cassazione Civile Sentenza Sez. 3 N. 10348/21

“La sussistenza del contratto sociale in ambito di responsabilità sanitaria può verificarsi solo ed esclusivamente nel momento in cui è possibile qualificare i medici sperimentatori che hanno provveduto al reclutamento nel programma sperimentale, come ausiliari non solo dell’azienda ospedaliera, ma anche della casa farmaceutica che si è valsa degli stessi nell’adempimento di un’obbligazione assunta nei confronti del paziente” (Cassazione, sentenza n. 10348/21, depositata il 20 aprile 2021)

L’attrice conveniva in giudizio l’Azienda Ospedaliera e la Casa farmaceutica per sentirle condannare, in solido, al risarcimento dei danni conseguiti alla partecipazione ad una sperimentazione clinica a base di un farmaco sponsorizzato dalla casa farmaceutica e svolta presso l’Azienda Ospedaliera.

Si costituivano in giudizio i convenuti, oltre alla Compagnia assicuratrice per l’eventuale manleva.

[NdR: la manleva ricorre quando un soggetto si obbliga a sollevare (ossia manlevare) l’altra parte dalle conseguenze patrimoniali derivanti da un certo evento o dal fatto dello stesso mallevato, del mallevadore o di terzi]

Il Tribunale accoglieva la domanda dell’attrice, condannando solidalmente le due convenute e rigettando la domanda di manleva.

La decisione veniva appellata dalla Casa farmaceutica e incidentalmente dalla Azienda Ospedaliera, ma la Corte d’Appello confermava la decisione di prime cure rigettando l’appello principale e quello incidentale.

La Casa farmaceutica ricorre in Cassazione.

Con il primo motivo la ricorrente eccepisce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione alla parte della sentenza impugnata nella quale la Corte di Appello ha riconosciuto una responsabilità contrattuale da contratto sociale.

La doglianza è fondata.

Gli Ermellini escludono la possibilità di fondare la responsabilità contrattuale della Casa farmaceutica su un contratto sociale che non vi è stato, in quanto la danneggiata ha avuto rapporti diretti soltanto con i sanitari dell’Azienda Ospedaliera.

Conseguentemente, non può discorrersi di responsabilità da contatto sociale nei confronti dell’Azienda farmaceutica.

“La casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica – eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici “sperimentatori”, soltanto ove risulti, sulla base della concreta conformazione dell’accordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dell’art. 1228 c.c.; in difetto, a carico della casa farmaceutica risulta predicabile soltanto una responsabilità extracontrattuale (ai sensi dell’art. 2050 c.c. o, eventualmente, dell’art. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa”.

Il motivo veniva accolto, con cassazione della sentenza sul punto.

Ed ancora, la Casa farmaceutica lamenta l’omissione del Giudice del gravame in ordine alla valutazione e accertamento ai fine della responsabilità, dell’incidenza causale del pregresso uso di farmaci da parte della paziente.

Il motivo è inammissibile, e comunque assorbito dal primo.

Relativamente al controricorso incidentale dell’Azienda ospedaliera, inerente il consenso della paziente alla sperimentazione in questione, gli Ermellini lo ritengono inammissibile in quanto i profili relativi al consenso della paziente risultavano privi di concreto interesse e involgevano accertamenti di fatto, non predicabili in sede di legittimità.

Concludendo, la Suprema Corte accoglie il primo motivo di ricorso della Casa farmaceutica e dichiara assorbiti gli altri due motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello in diversa composizione; dichiara inammissibile il ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera.

Le spese di giudizio tra la Casa farmaceutica e la Compagnia assicuratrice vengono compensate, mentre le ulteriori spese vengono rimesse all’esito del giudizio di merito.

Avv. Emanuela Foligno

Responsabile civile – 8 luglio 2021

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Nota

Il consenso informato è la manifestazione di volontà che il paziente esprime liberamente in ordine ad un trattamento sanitario. Il termine “consenso informato” nasce dopo il processo di Norimberga, quando l’omonimo codice evidenziò il principio dell’inviolabilità della persona umana: la partecipazione di qualunque individuo ad una ricerca scientifica non sarebbe più avvenuta senza il suo volontario consenso.

L’obbligatorietà del consenso informato come condizione per la liceità della ricerca viene sancita nel 1979 dal Rapporto Belmont nel rispetto del principio di giustizia, di beneficità e del principio di autonomia. Il caso giudiziario che, nel nostro Paese, ha destato l’attenzione del mondo sanitario e giuridico sul problema del consenso, è rappresentato dalla sentenza della Cass. Pen. n. 5639/1992 (Caso Massimo) che condannò un chirurgo per il reato di omicidio preterintenzionale a seguito del decesso di una paziente avvenuto a causa delle complicanze di un intervento chirurgico demolitivo eseguito senza il suo consenso. Da allora il tema del consenso ha assunto una rilevanza sempre crescente.

L’obbligo per il medico di munirsi del valido consenso della persona assistita trova riscontro nella stessa Costituzione dai seguenti articoli:

  • Art.13: sancisce l’inviolabilità della libertà personale
  • Art.32: riconosce che nessuno può essere obbligato a determinati trattamento sanitari se non per disposizione di legge e dall’art. 13 che sancisce l’inviolabilità della libertà personale.

Dei riferimenti li ritroviamo anche nell’art. 50 del Codice Penale (rubricato “consenso dell’avente diritto”).

Il consenso informato valido deve essere:

  1. personale: espresso direttamente dal soggetto per il quale è previsto l’accertamento, salvo i casi di incapacità, riguardanti i minori e gli infermi di mente;
  2. libero: non condizionato da pressioni psicologiche da parte di altri soggetti;
  3. esplicito: manifestato in maniera chiara e non equivocabile;
  4. consapevole: formato solo dopo che il paziente ha ricevuto tutte le informazioni necessarie per maturare una decisione;
  5. specifico: in caso di trattamento particolarmente complesso, l’accettazione del paziente deve essere indirizzata verso tali procedure, mentre non avrebbe alcun valore giuridico un consenso del tutto generico al trattamento. In alcune situazioni particolari, come per esempio quelle relative ad un intervento chirurgico nel caso in cui non ci fosse certezza sul grado di espansione ed invasione di una neoplasia, si ricorre al consenso allargato;
  6. attuale;
  7. revocabile in ogni momento.

L’infermiere deve accostarsi al malato facendo attenzione a tutte le sue dimensioni di persona e a tutte le esigenze, prestando cure personalizzate. Il malato soffre di solitudine esistenziale e l’approccio deve essere quello della disponibilità, dell’incoraggiamento, dell’informazione e della solidarietà. Egli perde l’autonomia e la libertà a causa della malattia e rischia di diventare un senza nome (quante volte ancora si sente parlare di “quello dell’ernia inguinale” o di “quello della stanza 10”…)

Il consenso informato, quindi, postula il diritto del paziente di scegliere, accettare o anche rifiutare i trattamenti (diagnostici, terapeutici, ecc.), dopo esser stato pienamente informato sulla diagnosi, il decorso previsto dalla malattia, tutti i possibili rischi ad essa correlati e sulle alternative terapeutiche e le loro conseguenze.

È necessaria, pertanto, una corretta informazione del paziente in merito alla terapia che viene eseguita, ai medicinali che vengono somministrati e a quelle che possono essere le conseguenze positive e negative derivanti dall’assunzione degli stessi di modo che la persona possa esprimere un vero e proprio consenso informato in ordine alle cure da effettuare.

Il consenso implicito: nei casi comuni della pratica corrente, quando il consenso si considera compreso o sottinteso nella semplice richiesta fiduciaria della visita medica da parte del paziente e nel rilascio della ricetta contenente le prescrizioni terapeutiche (tacito conferimento dell’incarico).

Nel Codice di deontologia medica, all’art. 13 -prescrizione e trattamento terapeutico- si sottolinea che in caso di prescrizioni di farmaci per indicazioni non previste dalla scheda tecnica o non ancora autorizzati al commercio, la loro prescrizione è consentita purché la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata, e deve essere acquisito il consenso in forma scritta dal paziente debitamente informato.

La relazione medico-paziente è passata da un modello tradizionale di paternalismo benevolo a un modello contrattuale o deliberativo, nel quale il paziente assume un ruolo centrale della gestione della propria salute partecipando in modo consapevole e informato alla scelte diagnostico-terapeutiche cioè a una condotta condivisa: il medico si impegna alla informazione e il paziente, reso cosciente, si affida alla competenza del medico.

 

Nella pratica clinica il medico di famiglia si trova di fronte ad una serie continua di decisioni per la tutela della salute del suo paziente.

Inoltre, va tenuto presente che il consenso anche se presunto non è mai implicito.

In particolare, il medico nelle prescrizioni diagnostico-terapeutiche dovrà sempre dare adeguate ed esaustiva informazione al paziente, per una decisione cosciente sulle scelte del percorso proposte dal medico. Peraltro il consenso alle proposte del medico curante non esimono lo specialista alla ulteriore raccolta del consenso dopo ulteriore e più specifica informazione sul futuro operato. Ricordiamo che un consenso mancante o viziato per una carenza di informazioni apre le possibilità di esperire una conseguente tutela risarcitoria.

 

 

 

Redazione Fedaisf

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