Tra i primi atti della neo-insediata Commissione europea, la collocazione dell’Agenzia europea dei medicinali sotto il controllo del direttorato dell’Industria. Una mossa che «favorisce l’economia ma rischia di danneggiare i pazienti», mette in guardia l’Istituto Mario Negri
REDAZIONE⎪GIOVEDÌ 2 OTTOBRE 2014, HD Sanità
La notizia è di quelle da addetti ai lavori: la nuova Commissione europea, appena insediata sotto la guida del lussemburghese Jean Claude Junker, tra i primi suoi atti ha riorganizzato le diverse agenzie europee. In mezzo alla ristrutturazione ci è finita anche l’agenzia deputata all’approvazione e al controllo dei farmaci in Europa, l’Ema che, dal direttorato della Salute e dei Consumatori è passato a quello dell’Industria.
Un fatto apparentemente da poco che non meriterebbe una riga se qualcuno non avesse cercato di accendere le luci su quel che una simile scelta può significare. A farlo sono stati il direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri Silvio Garattini e il farmacologo dell’istituto Vittorio Bertelè che in un editoriale sul sito del Mario Negri descrivono il «disagio» causato dalla scelta. Innanzitutto, perché il passaggio dell’Ema sotto la giurisdizione dell’Industria è un ritorno: «sotto tale giurisdizione fin dalla sua nascita a metà degli Anni Novanta», scrivono i due farmacologi. «C’erano voluti oltre quindici anni per convincere la Commissione dell’inopportunità politica di quella collocazione: i farmaci – sostenevano più voci nell’ambito della comunità scientifica e delle associazioni dei pazienti – non sono assimilabili a qualsiasi altro bene di consumo. Lasciando l’Ema sotto l’Industria la Commissione dava l’impressione di privilegiare l’interesse commerciale rispetto a quello dei pazienti e della sanità pubblica».
Tutto sembra cambiare sotto la presidenza Barroso, la Commissione aveva spostato Ema dal Direttorato dell’Industria a quello della Salute e dei Consumatori. «Non che le cose da allora siano cambiate molto, anzi», puntualizzano Garattini e Bertelè. «L’Ema continua ad approvare farmaci che spesso hanno scarsa documentazione di efficacia. Molti farmaci sono ancor oggi approvati per un beneficio clinico soltanto supposto sulla base di evidenze surrogate, dando ad esempio per scontato che ridurre la glicemia o la pressione eviti senz’altro l’infarto o l’ictus e ridurre la massa tumorale prolunghi davvero l’esistenza dei pazienti o almeno ne migliori la qualità», continuano. «Oltre a lasciare presunta l’efficacia clinica dei farmaci, se ne lascia propagandare l’innovatività senza provarla. I nuovi farmaci sono più spesso approvati sulla base del loro confronto con il placebo o la loro non inferiorità rispetto a farmaci già disponibili per la stessa indicazione clinica. Tutto concorre a produrre copie di quanto già esiste, senza alcuna possibilità per i medici e gli operatori della sanità pubblica di operare scelte razionali in base al valore clinico di un farmaco e del suo rapporto costo/benefico rispetto agli altri disponibili. In questo modo, anche per i farmaci come per tutti i prodotti di largo consumo, l’omologazione generalizzata offre alla pressione commerciale l’opportunità di promuovere un prodotto a prescindere dal suo effettivo valore», concludono nella loro critica all’agenzia.
Ora, «la riesumazione della collocazione politica dell’Ema sotto l’Industria», che «certo non agevolerà la riconversione da sempre attesa dell’agenzia europea a un ruolo davvero ispirato all’interesse primario dei pazienti e della salute pubblica».