Situazione del settore farmaceutico in Italia
L’industria farmaceutica è un asset strategico del Paese Italia.
La produzione ha raggiunto quota 30 miliardi di euro (+2,3%), grazie all’effetto traino dell’esportazioni del valore di 21 miliardi, ed è cresciuto dal 2010 a oggi del 52% (contro una media Ue del 32%).
Secondo gli ultimi dati Istat, (l’Istituto di statistica nazionale) le imprese del settore contribuiscono alla produzione industriale con +4,7% nel 2017, rispetto a una media del manifatturiero del +0,8%, dopo essere cresciute del 13% dal 2010 al 2016, a fronte del –5% complessivamente registrato dagli altri settori industriali.
L’Italia si può considerare uno dei grandi poli farmaceutici Europei
I dati sull’occupazione: 64.000 occupati, con 6.000 nuovi assunti negli ultimi tre anni di cui la metà sono under 30.
Dei 64.000 addetti diretti, 6.200 dedicati a Ricerca e Sviluppo, il 90% di questi sono laureati e diplomati, il 44% sono donne; a cui si aggiungono altri 66.000 lavoratori nell’indotto, tante le donne che occupano posizioni di rilievo e rappresentano più del 50% dei ricercatori.
La capacità di innovare è uno dei tratti distintivi dell’industria farmaceutica, nel triennio 2012-2014, l’87,6% delle imprese del farmaco ha investito in attività innovative, a fronte di una media del 50,5% registrata per il totale dell’industria italiana.
Nel 2014 le imprese (di tutti i comparti) con almeno dieci addetti hanno investito complessivamente 12,2 miliardi di euro per l’innovazione. Nell’industria, in generale, la spesa media per addetto è pari a 8.000 euro e sale a 9.000 euro nelle grandi imprese.
Nella farmaceutica la spesa media per l’innovazione per addetto è di 20.000 euro.
Sono stati investiti 2,7 miliardi di euro nel 2016 (1,5 miliardi in R&S e 1,2 miliardi in produzione) con una crescita negli ultimi tre anni di 450 milioni.
Analizzando i dati dei comparti industriali, spicca la “produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici”. Questa segna una variazione positiva del 6,3%, seguita dell’industria tessile e dell’abbigliamento (+2,5%). A fronte di un calo dello 0,4% registrato complessivamente da tutta l’industria italiana.
Dopo le automobili, i farmaci sono le produzioni più esportate dall’Italia verso l’estero.
Un export che vale 18,8 miliardi di euro, cresciuto del 7% tra il 2015 e il 2016. Un incremento più alto di quello registrato dagli autoveicoli (+6,3%), che valgono circa 21,2 miliardi di euro.
In generale, rispetto al 2015, l’Italia registra nel 2016 un aumento dell’avanzo commerciale (differenza tra beni esportati e importati) pari a 9,7 miliardi di euro, raggiungendo un totale di 51,5 miliardi.
Secondo l’Annuario Istat che fotografa le “imprese a controllo estero residenti in Italia”, le 108 imprese farmaceutiche rappresentano il 61,8% del fatturato totale (15,5 miliardi di euro in valore assoluto), il 53% degli addetti (30.235) e il 48,1% della spesa in R&S (246 milioni).
Se si considerano, invece, le imprese del farmaco “a controllo nazionale residenti all’estero”, queste rappresentano il 42,4% del totale, il 20% del fatturato e il 40,7 degli addetti.
In valori assoluti, si tratta di 189 imprese con 23.220 collaboratori e un giro d’affari da 5,7 miliardi di euro.
I dati sulla formazione universitaria raccontano di una presenza importante della farmaceutica. Nell’anno accademico 2015/2016 si contano 19.275 iscritti ai corsi di laurea di primo livello del gruppo “chimico-farmaceutico”.
Le donne rappresentano il 57,1% del totale. Le immatricolazioni sono 5.139, in crescita del 28,1% rispetto all’anno accademico precedente.
Se si considerano i dati dei corsi di laurea specialistica/magistrale, la presenza femminile è ancora più significativa: su 43.702 iscritti, il 72,6% è donna.
Dati che vanno letti insieme con la crescita della produttività che ha superato quella dei grandi Paesi europei, grazie alla qualità delle risorse umane, all’elevato know how industriale e a un sistema di relazioni industriali innovativo, partecipativo e fondato sulla collaborazione tra i soggetti di rappresentanza.
Fattori che hanno contribuito ad una maggiore stabilità e certezza delle regole ed hanno reso il Paese adeguato agli standard europei.
Nel 2016 le retribuzioni lorde dei dipendenti impiegati nelle grandi imprese (di tutti i settori) sono aumentate dello 0,5% rispetto all’anno precedente.
Una crescita più timida rispetto a quella registrata tra il 2014 e il 2015 (+1,5%). Effetto anche dei trattamenti derivanti dagli aumenti previsti dal Contratto Nazionale di Lavoro.
Come per le retribuzioni, anche i dati sul costo del lavoro nell’industria mostrano il primato della farmaceutica.
Tra il 2015 e il 2016 il costo del lavoro per dipendente nelle grandi imprese è cresciuto del 4,2%.
I dati positivi che dimostrano buona salute dell’industria Farmaceutica in Italia non possono farci dimenticare che, a causa della crisi, dal 2008 al 2013 si è registrata una perdita di circa 12.000 addetti.
Perdite dovute in parte anche al conferimento delle produzioni e di centinaia di addetti dagli stabilimenti delle “Big Pharma” alle aziende di produzione conto terzi (in qualche caso attraverso la formula del “management by out”; gli stessi stabilimenti sono diventati di proprietà di ex manager della multinazionale stessa).
Aziende che, di proprietà di piccoli imprenditori, per poter restare in linea con costi imposti dalle “Big Pharma” stesse, hanno dovuto ridurre il costo del lavoro fino al 20%, anche attraverso revisioni degli accordi sindacali aziendali; i trattamenti economici, normativi e degli orari di lavoro; determinando una perdita di potere d’acquisto dei salari reali ed in qualche caso una riduzione della qualità della vita in azienda ed in altri casi ridurre il personale.
Inoltre, la scadenza dei brevetti di numerosi farmaci, le limitazioni alle visite dei medici imposte dalle autorità sanitarie regionali e la necessità, da parte delle imprese di abbassare i costi, l’orientamento sempre più commerciale delle Aziende, ha comportato pesanti riorganizzazioni sulle reti di Informazione Scientifica, con una riduzione degli addetti dai 21.000 del 2010 agli attuali 10.000 con grave danno non solo per i lavoratori colpiti, ma crediamo, anche all’intero sistema, che priva la classe medica e le aziende, di un rapporto professionale di relazione diretta tra medico e aziende farmaceutiche di tipo scientifico che questi lavoratori, di alta professionalità e grande esperienza, apportano al sistema e, di conseguenza con riflessi sulla tutela della salute dei cittadini.
N.d.R.: Abbiamo pubblicato sopra la relazione che Massimo Zuffi, segretario nazionale Femca-CISL con delega nell’informazione scientifica, ha presentato all’assemblea dei rappresentanti europei del comparto chimico IndustriAll. I numeri che ha presentato sono indubbiamente “ottimistici”. Lo riportiamo perché nei 9 minuti di relazione concessi, qualcuno ha parlato anche della nostra situazione in Europa. Ci permettiamo però una piccola osservazione: Zuffi afferma che “a causa della crisi, dal 2008 al 2013 si è registrata una perdita di circa 12.000 addetti”. L’osservazione è che in Italia la crisi fra il 2008 ed il 2013 ha colpito tutti i comparti e settori industriali, tranne uno: la produzione farmaceutica che ha visto solo una flessione dello 0,1% nel 2009 e dello 0,8% nel 2012, tutti gli altri anni considerati sono sempre stati in positivo. Ciò ovviamente non ha impedito di licenziare il 50% degli ISF nel più assoluto silenzio e indifferenza di tutti. Ovviamente ci fa piacere che oggi si prenda coscienza e si parli di ISF e della strage occupazionale che li ha colpiti. Speriamo per il futuro, e lo vedremo presto nel rinnovo del CCNL in scadenza.
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Come cambia l’informazione scientifica.20.09.2006 (come è stato programmato il licenziamento in massa di ISF nel 2006)
Riportiamo sotto la serie storica ISTAT sulla produzione industriale